I sondaggi di questi giorni presentano numeri alterni, ma su un dato tutti gli istituti sono d’accordo: alle prossime elezioni politiche il primo partito sarà quello dell’astensionismo. Ecco, Maestro, parliamo degli astensionisti. Come nascono, come si diventa tali?
Ci sono innanzitutto quelli costretti ad astenersi, perché malati e comunque fisicamente impossibilitati, per una qualche ragione, a recarsi al seggio. Un dato fisiologico. Quelli che ci interessano sono, sommariamente, di tre tipi: i cittadini ideologicamente contrari alla delega e alla democrazia rappresentativa (profilo anarchici/anarcoidi); i rassegnati all’inutilità del proprio voto (profilo figli della crisi delle ideologie e della scomparsa dei partiti); i non-votanti di protesta (profilo “so’ tutti uguali”). In realtà, la responsabilità primaria del fenomeno va ascritta alla classe politica, agli eletti che via via, dopo aver acquisito i consensi elettorali, si sono occupati sostanzialmente solo di conquista e gestione del potere e della conservazione dei propri privilegi. Così, in quarantasei anni, l’astensionismo è inarrestabilmente cresciuto dal 6,51% del 1976. “Se si dovesse ripresentare a settembre 2022 il boom di astensioni delle Comunali 2021 (45%)” – si rileva da una ricerca dell’Università di Bologna – il prossimo dato nazionale sfonderà di molto la soglia del 30%, 5 volte il minimo storico degli anni ’70″. In effetti la percentuale di elettori che non esercitano concretamente il diritto/dovere del voto tende a confermarsi, sempre più spesso, attorno a quota 50. Una vera tragedia. A guardare la nostra Repubblica e la nostra democrazia da questo angolo visuale, c’è da disperarsi. La questione, resa assai complessa dalle conseguenze di decenni di ritardi nell’affrontarla, è talmente delegittimante che i partiti preferiscono ignorarla. E tentano di nasconderla meschinamente sotto il tappeto, trattandola come polvere, mentre siamo di fronte a una montagna, al problema dei problemi, conseguenza di tutti i mali di cui soffre la nostra democrazia e produttore di ulteriori, gravi mali per la nostra società. Per affrontarla, occorrerebbero una decina di giganti della politica – alla guida dei partiti più importanti – animati da passione, rigore, competenza ed energia. In giro vedo agitarsi, però, quasi solo nani, a loro modo giganti, sì, ma dell’autoreferenzialità e dell’opportunismo.
Ma l’astensionismo è una non scelta dettata dalla superficialità oppure è un gesto politico di enorme protesta?
Certo, fra gli astensionisti c’è chi ritiene l’astensione una scelta politica e, in definitiva, un gesto mirato al bene della società e legittimamente di sé stesso. Ma si tratta invece di pura incoscienza, di inconsapevolezza, di velleitarismo e/o di autolesionismo. È appena il caso di ricordare la massima per cui tu puoi pure non occuparti di politica (e non votare), ma la politica continua e continuerà beffardamente a occuparsi di te, dei tuoi figli e dei tuoi interessiogni giorno. È chiaro che gli appuntamenti elettorali ci interrogano, come peraltro quasi tutti i nostri comportamenti nel sociale e nella vita collettiva, sulla necessità di puntare sul minor male o, per dirla in termini meno negativi, sul meglio che c’è. Non c’è un partito che ti rappresenti al meglio? Sono tutti uno peggiore dell’altro? Allora scegli quello che secondo te farebbe meno danni a te e al Paese. Non scegliere e astenersi, significa invece avvantaggiare quello che secondo te farebbe più danni a te e al Paese. Altro che protesta!
Ammesso che lo si faccia per protesta, non è fin troppo evidente che si tratti di protesta sterile? Come sperano di cambiare il sistema tenendosene fuori?
Ah, non chiederlo a me. Io ho sempre votato. Credo che il minimo che si possa dire è che gli astensionisti consapevoli/inconsapevoli abbiano perduto ogni speranza di cambiare il sistema. Ma così l’astensionismo rischia di diventare una profezia che si autoadempie: non posso cambiare il mondo, non voto, avvantaggio chi non vuole cambiare il sistema, il sistema non cambia, quindi ho fatto bene ad astenermi…. E invece: se solo una piccola percentuale di astensionisti decidesse di votare – diciamo nella logica del meno peggio – e votassero per i progressisti, riuscirebbero forse a evitare che la guida del proprio Paese finisca catastroficamente nelle mani dei reazionari.
Naturalmente non stai parlando dell’Italia…
Naturalmente. Ci mancherebbe altro.
BEPPE LOPEZ, classe 1947, è nato a Bari, nel quartiere Libertà. Da giornalista, direttore di giornali e di agenzia e saggista, si è occupato per oltre mezzo secolo di politica interna, di giornali locali e di analisi e critica dell’informazione. Ha collaborato con le più importanti testate nazionali. Ha partecipato come cronista politico alla fondazione del quotidiano la Repubblica. Ha fondato e diretto quotidiani e riviste. Ha diretto la Quotidiani Associati. Ha pubblicato racconti storici e saggi sul giornalismo, ottenendo uno straordinario successo editoriale in particolare con La casta dei giornali (Stampa Alternativa 2007). Di notevole rilievo per la cultura e la musica popolare italiana la sua biografia di Matteo Salvatore, L’ultimo cantastorie (Aliberti 2018).
Ha esordito come narratore con Capatosta (Mondadori 2000), divenuto subito un importante caso letterario, proseguendo con Mascherata reale (Besa 2004), La scordanza (Marsilio 2008) e La Bestia! (Manni 2015).
Sono appena arrivati in libreria il suo ultimo romanzo, Capibranco e la trilogia Quartiere Libertà, contenente i suoi tre romanzi ambientati in questo quartiere popolare di Bari (Capatosta, La scordanza e Capibranco), che raccontano, con un vivace “idioletto” conformato su italiano e materiale dialettale barese, un secolo di vita nazionale e un quartiere simbolico dell’intera umanità.
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