Maestro, per una volta, distolga lo sguardo dalla politica (ormai con la p minuscola) e lo volga alla Comunità che la circonda. La considerazione su cui la sfotto é la seguente: stiamo sempre a parlar male dei politici e poi, a ben vedere, la maggior parte di noi quasi sempre é come loro o anche peggio. Meh, come la mettiamo?
Per prima cosa, io lascerei perdere la lettera maiuscola quando si parla di cose come la politica e la cultura. Ho avuto la fortuna di far parte di una generazione di italiani che storcevano e storcono il muso a sentir qualcuno parlare o scrivere di Politica e di Cultura – con le maiuscole – evocando, evidentemente, una loro forma alta, paludata, ampollosa, maestosa, riservata a pochi eletti e/o illuminati, inarrivabile, se non imperscrutabile da parte dei comuni mortali, che comprenderebbero e che comunque si dovrebbero interessare solo di questioni di bassa lega. Parlerei invece al plurale di politiche, come in molti ormai usano fare con le culture. Alto e basso stanno insieme, in natura. Vanno distinti ma non separati e tanto meno contrapposti. Le separazioni e contrapposizioni in materia sono nostre pure astrazioni mentali, usate da sempre per manipolazioni e inganni.
Vero, ammetto la colpa. Per seconda cosa?
Non credo che la maggior parte degli italiani sia come loro, i politici, o anche peggio. Del resto, non sono d’accordo nemmeno con l’analoga affermazione – più volte ripetuta nei decenni perlopiù dai diretti interessati (i politici) e dalle loro variegate e vettovagliate truppe di appoggio – che gli italiani hanno quello che si meritano per la semplice ragione che sono loro a eleggerli. Come sanno anche i sassi, da tempo la nostra classe politica si é emancipata dal dovere di dar conto del proprio operato, non solo in generale, se si può dire, con l’abuso di posizione dominante, controllando centri di spesa, centri di clientelismo, centri di occupazione e centri di informazione, ma anche con specifiche norme elettorali: la prevalenza della logica maggioritaria, le liste bloccate, l’abolizione delle preferenze, ecc. Non a caso l’astensionismo da tempo ha superato il 50% dell’elettorato. Quindi, venite a dirmi che gli italiani hanno i politici che si meritano solo quando il loro voto – per il livello di libertà e di consapevolezza concretamente praticabile, per l’arco di scelte effettivamente a loro disposizione e per il tipo di conteggio delle schede elettorali ai fini della individuazione dell’eletto – varrà sul serio nella formazione della classe politica e istituzionale. Per quello che riguarda il presunto fatto che “la maggior parte di noi quasi sempre è come loro o anche peggio” mi pare oggettivamente indimostrabile.
Apprezzo l’analisi, ma non la condivido in toto. L’ignoranza impera. Ad ogni livello sociale. Che poi essere ignoranti non è non sapere la seconda declinazione del Latino o quando nacque Calamandrei, ma avere la supponenza di sapere ciò che non si sa. Un po’ come accade per il calcio, ormai tutti sanno tutto di tutto. Si può fare questa vita?
Agli elettori non può non essere riconosciuto il diritto di essere ignorante, nel senso che il sistema democratico rappresentativo si basa sulla rappresentanza degli interessi, delle aspettative e delle scelte dei cittadini, di tutti i cittadini-elettori, acculturati e ignoranti, ricchi e poveri; agli eletti invece si richiedono augurabilmente cultura e competenze. I cittadini-elettori hanno sempre ragione. I cittadini-eletti invece no. Anche quando stavamo nelle caverne e dovevamo scegliere un capo che coordinasse la vita associata o la caccia o l’attacco a una tribù nemica, evidentemente la scelta cadeva sul migliore di noi, sul più intelligente, sul più astuto, sul più veloce. Il degrado del nostro sistema politico è rilevabile a occhio nudo, da decenni, dalla bassa qualità dei nostri rappresentanti. Processo che ha raggiunto il suo livello più alto, cioè più basso, con l’irrompere dei grillini: “uno vale uno”. Così a numerosi giovani e meno giovani perlopiù senz’arte nè parte sono state affidate compiti e funzioni delicatissimi. Forse al di là delle loro intenzioni Grillo e Casaleggio hanno voluto così denunciare i limiti della democrazia rappresentativa, ridicolizzandola.
Io dico che la colpa non è solo dei social, anzi, secondo me, non le sembri strano, questi aiutano -per quanto in maniera sghemba ed a volte fragilissima- a far comunicare le persone tra loro che storto o morto alla fine una parola la scambiano. Sempre meglio del silenzio.
Vedo che non sei d’accordo con l’arcinota reprimenda di Umberto Eco: “I social media danno diritto di parola a legioni di imbecilli che prima parlavano solo al bar dopo un bicchiere di vino, senza danneggiare la collettività. Venivano subito messi a tacere, mentre ora hanno lo stesso diritto di parola di un Premio Nobel. E’ l’invasione degli imbecilli”. Non so in quale contesto di riflessioni abbia affermato questa assertiva valutazione il nostro maggior semiologo, filosofo, scrittore, traduttore, accademico, bibliofilo, medievista, romanziere, linguista, ecc. ecc. Io sono convinto come te sulla straordinaria e virtuosa possibilità comunicativa dei social. Credo che, come succede a tutti i nuovi fenomeni al loro inizio, ora sembrano prevalere o comunque balzano immediatamente agli occhi i loro difetti e pericoli, oscurandone le virtù. Certo che i social per molti aspetti sembrano il trionfo dell’imbecillità , così come, in materia di informazione, solleticano velleitarismi e “la supponenza di sapere ciò che non si sa”, tendendo a fare strame delle intermediazioni e della “gerarchia delle notizie” che solo un professionista o un sito professionale può fornire. Ma la grandiosità del triplice fenomeno della interconnessione totale, della Rete e della globalizzazione è tale da far viaggiare, già oggi, molteplici virtù sullo stesso binario dell'”imbecillità ” e da far prevalere sempre più con l’andare del tempo le prime sulla seconda.
Una imbecillità che si fa largo anche nel processo della democrazia rappresentativa. Con quali conseguenze?
L’imbecillità sui social rimane imbecillità . Bisogna imparare a guardarsene, a neutralizzarla. Ma “ignoranza” e “imbecillità”, in democrazia, hanno il diritto di esprimersi. Non esisterebbe democrazia senza “ignoranza” e “imbecillità “, come non esisterebbe senza diritto di cittadinanza agli stessi nemici della democrazia. Blindare la democrazia, per renderla ininquinabile, inespugnabile e incontendibile, sarebbe un atto anti-democratico. La democrazia è per definizione aperta, con componenti in contrasto e in perenne contrapposizione. Non è e non deve e non può essere mai uno stato acquisito. E’ una conquista permanente.
BEPPE LOPEZ, classe 1947, é nato a Bari, nel quartiere Libertà. Da giornalista, direttore di giornali e di agenzia e saggista, si è occupato per oltre mezzo secolo di politica interna, di giornali locali e di analisi e critica dell’informazione. Ha collaborato con le più importanti testate nazionali. Ha partecipato come cronista politico alla fondazione del quotidiano la Repubblica. Ha fondato e diretto quotidiani e riviste. Ha diretto la Quotidiani Associati. Ha pubblicato racconti storici e saggi sul giornalismo, ottenendo uno straordinario successo editoriale in particolare con La casta dei giornali (Stampa Alternativa 2007). Di notevole rilievo per la cultura e la musica popolare italiana la sua biografia di Matteo Salvatore, L’ultimo cantastorie (Aliberti 2018).
Ha esordito come narratore con Capatosta (Mondadori 2000), divenuto subito un importante caso letterario, proseguendo con Mascherata reale (Besa 2004), La scordanza (Marsilio 2008) e La Bestia! (Manni 2015).
Sono appena arrivati in libreria il suo ultimo romanzo, Capibranco e la trilogia Quartiere Libertà, contenente i suoi tre romanzi ambientati in questo quartiere popolare di Bari (Capatosta, La scordanza e Capibranco), che raccontano, con un vivace “idioletto” conformato su italiano e materiale dialettale barese, un secolo di vita nazionale e un quartiere simbolico dell’intera umanità.
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