16 Ottobre 2024 - Ore
Politica

Beppe Lopez intervistato da Stornaiolo (dialogo 27)

POLITICI, FRA RUBLI E WARNING: BASTA VEDERLI FARE E PARLARE PER CAPIRE SE SONO “PUPAZZI”

Maestro, qualche dialogo fa, a proposito delle elezioni, te ne sei uscito con la frase: “Sempre meglio votare il meno peggio che il peggio del peggio”, ricordi? Ebbene, alla luce delle recenti rivelazioni del National Security Council, l’agenzia della Casa Bianca che coordina tutta l’attività del governo americano sull’intelligence, qua l’acqua è sempre più lorda. Come mi consigli di metterla?

Mettiamola così: che i partiti vanno votati (o non votati) in base a ciò che concretamente fanno e dicono, e a ciò che concretamente e documentatamente si sa di essi, non in base a retroscena, pettegolezzi, fake news e warning, una nuova parola che ho imparato in questi giorni e che significa “avvertimento”… In sostanza il dossier americano sui 300 milioni che la Russia avrebbe investito in venti Paesi per tenere a libro paga partiti e singoli politici potrebbe essere, secondo accreditati analisti “la bomba sganciata a due settimane dall’apertura delle urne… un avviso, un warning al nuovo governo sull’atteggiamento da tenere nei confronti di Washington”.

 

Come a dire: Giorgia, Matteo e Silvio, guardate che sappiamo delle cose, per cui comportatevi come dovete comportarvi… Non mi pare una cosa molto elegante…

Hai ragione. Se fosse così, sarebbe una cosa ben più grave di una semplice ingerenza. Ma secondo me non si tratta di warning, né di bomba, né di avvertimento mafioso. Tanto per cominciare, mi pare ridicolo pensare ad un investimento meschino come 300 milioni da parte della Russia di Putin, pur responsabile di cose ben più insensate e scellerate, per sottomettere ai propri voleri partiti e politici in venti Paesi, se non sbaglio per un periodo di otto anni. In media, due milioni l’anno per ogni paese. Ed è poco plausibile che gli Usa mettano in moto scandalo e allarme in venti Paesi solo per lanciare un avvertimento a Meloni, Salvini e Berlusconi. Avrebbero – e hanno usato in passato – ben altri metodi, più mirati ed efficaci. 

 

Quindi?

affaire – che alla fine (per ora) gli Usa assicurano di aver agitato con gli alleati solo per allertarli sulla densa attività russa di ingerenze, intromissioni e opere di corruzione e di divisione nei paesi occidentali, che non a caso Putin ritiene moralmente molli e corrompibili – mi pare ancora tutto da decifrare. Per adesso diciamo che si tratta di un ballon d’essai. Staremo a vedere quello che può ancora venir fuori in queste ore o in fase di formazione del nuovo governo o a nuovo governo insediato.

 

Torniamo a noi. “Sempre meglio votare il meno peggio che il peggio del peggio”, ricordi?

Quella regola vale sempre. È alla base del contratto democratico fra rappresentati e rappresentanti. Io faccio parte di una generazione alla quale per molto tempo si è data la possibilità di andare a votare, oltre che potendo scegliere personalmente chi mandare in Parlamento, mettendo la croce su partiti nei quali ti identificavi. Nonostante questo, c’era anche chi votava di volta in volta in maniera diversa. E che votava? Il partito meno lontano da sé. Quello che considerava il meno peggio. Poteva anche capitare che ad un qualche appuntamento elettorale il militante o il simpatizzante abituale di un simbolo arrivasse avendo maturato un rapporto critico col suo stesso partito di riferimento. Valeva anche per lui sempre una regola: andare sempre a votare e mai scheda bianca, ma il partito meno lontano dai propri ideali e comunque il candidato più affidabile, da qualsiasi lista proposto. Poi, come sappiamo, i partiti sono evaporati, la politica è scomparsa e l’astensionismo è dilagato. E arriviamo ad oggi. Hanno calcolato che dell’80% circa dei futuri componenti della Camera e del Senato – peraltro dimezzati di numero da una riforma scellerata imposta a tutti gli altri partiti dal M5S – si potrebbe già fare i nomi. In base al potere decisionale sulle candidature attribuito dalle norme elettorali ai responsabili nazionali dei partiti (quasi tutti partiti personali) e al furbesco gioco dei capilista, delle liste bloccate e dell’intreccio fra collegi uninominali maggioritari e liste proporzionali è già quasi tutto stabilito: le uniche incognite riguardano gli aspetti quantitativi della partecipazione alle urne, dell’astensionismo e delle scelte finali da parte degli indecisi. Di certo, non c’è più l’ampia scelta di partiti identitari di una volta. Sono in pochi – perlopiù vecchi e appassionati militanti, ristretti gruppi di nostalgici, giovani neofiti e gruppi di “professionisti” della neo-politica e di opportunisti – coloro che si identificano veramente in un partito. Del resto, è tutta la società che è fluida. Che è de-ideologizzata, de-idealizzata, se si può dire anche de-moralizzata. Che fai allora? “Sempre meglio votare il meno peggio che il peggio del peggio”…

 

Nel nostro caso?

Posso dirti che il meno peggio, per me, non è Salvini, non è Meloni, non è Berlusconi. Contento?

 

Anche Ursula von der Leyen si è infuriata contro questi finanziamenti occulti. La signora tiene già tanti problemi e adesso teme che altri ne arriveranno dall’Italia. Mamma mia com’è difficile tenere unita questa Europa…

Se alla Casabianca in versione democratica la prevista nuova maggioranza parlamentare e governativa italiana pone dei problemi per l’atlantismo, alla Ue – se possibile – ne pone di molto più seri e concreti. La Meloni prima ha detto: “Dicono che in Europa siano preoccupati per la Meloni. Che succederà? Che è finita la pacchia e anche l’Italia difenderà i suoi interessi nazionali”. Proprio così: “E’ finita la pacchia”. Poi l’approfondimento: “Bisogna aprire il dibattito sulla sovranità del nostro Paese senza dover dire che usciamo dall’Ue”, suggerendo sintesi giornalistiche come “Sovranità Ue da discutere” e “Viene prima l’interesse nazionale”. Povera Ursula! Proprio nei giorni in cui dagli Usa pervenivano le notizie e le indiscrezioni sul dossier dei presunti 300 milioni russi, in Svezia dopo un secolo vincevano le elezioni centrodestra e sovranisti, e il Parlamento Europeo dichiarava l’Ungheria “non più una democrazia” ma una “autocrazia elettorale”. E tra i pochi che hanno votato contro questa formale dichiarazione – seguita dalla richiesta della Commissione al Consiglio europeo di sospendere i 7,5 miliardi di finanziamenti previsti dal Recovery Fund per Vienna – chi ci sono?

 

Guarda caso gli europarlamentari di Lega e Fratelli d’Italia.

Un fatto politico impegnativo da pare del Parlamento Europeo. Peccato però che altrettanta decisione non possa usare con la Polonia. È dal dicembre dell’anno scorso che la Commissione europea ha lanciato una procedura di infrazione anche contro Varsavia per violazione del diritto dell’Ue. Ricordi? La Corte Costituzionale polacca aveva formalmente stabilito di non essere tenuta a riconoscere la supremazia del diritto europeo su quello nazionale (com’era quel titolo meloniano? “Viene prima l’interesse nazionale”). La Polonia non ha nemmeno risposto, come avrebbe dovuto, alla Commissione. Una grave irregolarità. Eppure sinora, contrariamente all’Ungheria, non ha ricevuta nessun’altra minaccia di punizione. Questo per la semplice ragione che nel frattempo è stata invasa l’Ucraina e la Polonia sta svolgendo un ruolo delicato e decisivo… 

 

Due pesi e due misure, anche se a fin di bene, diciamo così…

Certo, ma, tornando a noi, le arci-questioni per la Ue si complicano: l’Ungheria, la Polonia, il risultato elettorale in Svezia, le uscite di Meloni e il risultato delle elezioni italiane paventato a Bruxelles e a Washington, e auspicatissimo a Mosca.

 

Ma secondo te chi sono gli “acchiappa rubli” italiani? Hai delle supposizioni? Attento a quello che scrivi che qua – niente niente – arriva la denuncia di qualche capoccia permaloso…

Ripeto: i partiti e i politici vanno apprezzati (o disprezzati), votati (o non votati) in base a ciò che concretamente fanno e dicono, e a ciò che concretamente e documentatamente si sa di essi, non in base a retroscena, pettegolezzi, fake news e warning… Prendi Salvini, che se l’è presa con l’attacco di Draghi ai “pupazzi prezzolati”, pur non avendo Draghi fatto alcun nome, come se l’avesse fatto e avesse fatto il suo. Ora, mettiamo da parte i sospetti pur agitati da più parti sulle rivelazioni o warningda parte del National Security Council…

 

Bravo, mettiamole da parte. Nessuno accusa Salvini e Salvini non ha preso nemmeno un rublo…

Bene. Badiamo ai fatti, quelli che contano anche in politica… Ovviamente io non sono un retroscenista. Ricordo vagamente ciò che ho letto e che posso riscontrare con una sbrigativa ricerca in rete. Primo, Salvini va in giro e ama farsi fotografare con magliette illustrate da una grande immagine di Putin in divisa militare, rivelando certamente una grande ammirazione per l’autocrate russo.

 

Certo.

Secondo, una cosa un po’ più seria: Salvini non condivide le sanzioni alla Russia, comminate in sede europea dopo la criminale invasione dell’Ucraina e si batte da sempre contro di esse, in sede europea e nazionale. Chiede sistematicamente di “rivedere le misure sulla Russia” ritenendo “una follia il blocco dei visti”, tanto che Letta commenta malignamente: “Putin non l’avrebbe detta meglio”.

 

Poi?

Claudio D’Amico, stretto collaboratore di Salvini (e poi consulente del Salvini vice-presidente del Consiglio), nel 2014 fu “osservatore internazionale per accertare la regolarità del referendum che sancì l’annessione a Mosca della Crimea scippata all’Ucraina”.

 

Vabbè, andiamo avanti.

Nel 2015 l’associazione “Lombardia Russia” – co-fondata da D’Amico e da Gianluca Savoini, antico amico e importante collaboratore di Salvini – organizzò un convegno a Milano contro le sanzioni economiche comminate alla Russia a seguito dell’invasione della Crimea, “ospite d’onore un ministro della Repubblica di Crimea riconosciuta da paesi non proprio liberi come la Bielorussia e ovviamente le conclusioni furono affidate a Salvini”. Salvini in quella occasione definì Putin “uno dei pochi leader che ha le idee chiare su una società positiva, ordinata, pulita e laboriosa per i prossimi cinquant’anni”, chiedendo all’Europa di ratificare l’indipendenza della Crimea… 

 

C’è altro?

Salvini ha siglato ufficialmente a Mosca, il 16 marzo del 2017, un inedito, inaudito patto di cooperazione (rinnovato lo scorso marzo tacitamente sino al 2027!) tra Lega e Russia Unita, il partito di Vladimir Putin… 

 

Poi…

Savoini fu beccato nel Metropol di Mosca a discutere di un finanziamento alla Lega per le elezioni Europee del 2019 con uomini di Putin. “C’era l’emissario del ministro dell’Energia. Il manager di una società petrolifera dell’oligarca ultra-nazionalista. E un terzo uomo. Una figura importante, come si scopre solo oggi. Perché è un uomo dei servizi segreti di Mosca” (fonte dei virgolettati, l’Espresso). Ancora nelle settimane scorse… 

 

So che adesso mi parlerai della trasferta a Mosca di Salvini naufragata fra le polemiche, con l’ambasciata russa a Roma che ha dovuto formalmente comunicare di aver “assistito Matteo Salvini e le persone che lo accompagnavano nell’acquisto dei biglietti aerei di cui avevano bisogno in rubli tramite un’agenzia di viaggi russa”, chiarendo con qualche imbarazzo che “per i motivi ben noti, alla fine ci è stato restituito l’equivalente della cifra spesa per l’acquisto dei biglietti aerei in euro (con rispettivi documenti comprovanti)”.

Non te ne parlo. L’episodio parla da solo. Ti riferisco una dichiarazione della responsabile Affari Internazionali della segreteria nazionale Pd, Lia Quartapelle, che invitava Salvini a fare chiarezza e si chiedeva: “Cosa andava a fare Salvini a Mosca a spese della Russia? Non ci racconti la frottola che andava a fare la pace”. E una riflessione un po’ più lunga e significativa di Carlo Calenda, leader di Azione: “Mi sembra chiaro che Salvini è legato alla Russia in modo indissolubile e poco trasparente. Gli alleati politici e i rappresentanti della Lega al Governo dovrebbero acquisire la consapevolezza che è una persona pericolosa per la sicurezza nazionale. Una persona che, senza avvertire il Governo che sostiene, si fa organizzare e finanziare un viaggio dall’Ambasciata di un paese sotto sanzioni, autore di una guerra di aggressione e che minaccia l’Occidente di distruzione, o è molto stupido o è in qualche modo legato ai russi”. 

 

Ovviamente Calenda si assume tutta la responsabilità di questa pesante valutazione.

Ovviamente. Valutazione politica fatta da un politico su un altro politico.

 

Ma torniamo a noi. Hai elencato una serie di fatti relativi ai rapporti Salvini-Russia. Dunque?

Volevo dire che le indiscrezioni o il warning giunto in questi giorni dagli Usa (in un primo momento forse smentito, in un altro né confermato né smentito) hanno poco senso e interesse, almeno sino a quando non ne avremo sicura documentazione e certezza. Ha fatto bene Draghi a non fare nomi. Ci mancherebbe altro. Ma io stento a non identificare il Salvini dei fatti elencati, noti, arcinoti e documentati nel personaggio politico descritto da Draghi – escludendo qualsiasi riferimento diretto ai rubli – “che ama i russi alla follia, vuol togliere le sanzioni, che invece stanno funzionando, e parla tutti i giorni di nascosto con loro”. Quindi Salvini – come Meloni, Berlusconi, Conte e chiunque altro – va valutato non per quello che qualcuno dice che possa aver fatto (magari malignamente), ma per quello che fa e dice. E lui è senza dubbio un antico, convinto e tenace filo-putiniano.

 

Che poi, detto tra noi, ‘sta storia dei soldini che arrivano da dove arrivano è antica. È dai tempi della guerra fredda che circolano rubli e dollari. La Democrazia Cristiana e il Partito Comunista Italiano erano ben abituati a… riscuotere. O no? 

È sbagliato, come hanno fatto i leghisti e Berlusconi, mischiare le inquietanti storie, storielle e storiacce di corruzione e di ingerenze di oggi, con la grande tragedia del Novecento: la divisione in due del mondo, la subalternità della Dc agli interessi e ai giochi (anche sporchi) degli Usa, il silenzio e la complicità ideologica del Pci (pur tenace rappresentante degli interessi popolari in Italia) con i misfatti dell’imperialismo sovietico… Quella di oggi è cronaca (anche giudiziaria) e politica (anche sporca e crudele), quella di ieri è storia, sulla quale ovviamente riflettere. Ma da non mescolare con la polemica elettorale o con improbabili autodifese. Mi preme solo ricordare che quel mondo, in Italia, finì tragicamente (fra tentativi di colpi di Stato, strategia della tensione, terrorismo e assassinii) proprio quando la Dc grazie a Moro tentava di emanciparsi dalla subalternità agli Usa (anche ai suoi dollari) e il Pci grazie a Berlinguer troncava i rapporti (anche in rubli) con Mosca. Sono passati più di quarant’anni. È finita la Dc, è finito il Pci, sono arrivati Berlusconi, Prodi, poi la Lega di Bossi, Grillo, Salvini, ora Meloni…

 

In tutti i casi, parole di Berlusconi: “Soldi da Mosca? Gli unici accertati sono quelli al Pci”.

Boccaccia mia, statte zitta!



BEPPE LOPEZ, classe 1947, è nato a Bari, nel quartiere Libertà. Da giornalista, direttore di giornali e di agenzia e saggista, si è occupato per oltre mezzo secolo di politica interna, di giornali locali e di analisi e critica dell’informazione. Ha collaborato con le più importanti testate nazionali. Ha partecipato come cronista politico alla fondazione del quotidiano la Repubblica. Ha fondato e diretto quotidiani e riviste. Ha diretto la Quotidiani Associati. Ha pubblicato racconti storici e saggi sul giornalismo, ottenendo uno straordinario successo editoriale in particolare con La casta dei giornali (Stampa Alternativa 2007). Di notevole rilievo per la cultura e la musica popolare italiana la sua biografia di Matteo Salvatore, L’ultimo cantastorie (Aliberti 2018).

Ha esordito come narratore con Capatosta (Mondadori 2000), divenuto subito un importante caso letterario, proseguendo con Mascherata reale (Besa 2004), La scordanza (Marsilio 2008) e La Bestia! (Manni 2015). 

Sono appena arrivati in libreria il suo ultimo romanzo, Capibranco e la trilogia Quartiere Libertà, contenente i suoi tre romanzi ambientati in questo quartiere popolare di Bari (Capatosta, La scordanza e Capibranco), che raccontano, con un vivace “idioletto” conformato su italiano e materiale dialettale barese, un secolo di vita nazionale e un quartiere simbolico dell’intera umanità.

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