16 Ottobre 2024 - Ore
Politica

Beppe Lopez intervistato da Stornaiolo (dialogo 29)

CONSERVATRICE O REAZIONARIA? GIORGIA MELONI ORA DEVE DECIDERE COSA VUOLE FARE DA GRANDE

Caro Maestro, passata la furia delle elezioni, ogni contendente si è dato una calmata. A cominciare da Giorgia Meloni che, da premier in pectore…

Alt! Pure tu con questo “premier”? In Italia questa figura non esiste. Certo, Meloni ha un debole per il presidenzialismo. Ma per adesso si dovrà accontentare di fare la presidente del Consiglio dei ministri. Lo so, tutti, anche i più raffinati editorialisti e retroscenisti, parlano e scrivono di premier e di premiership. Ma è sbagliato e deleterio. Non si tratta di una sottigliezza semantica. Premier e presidente del Consiglio dei ministri sono due figure profondamente diverse. Fare questa confusione significa in una qualche maniera contribuire alla straordinaria confusione che già regna nel nostro sistema politico…

 

Vabbè, come non detto. Ricominciamo. Giorgia Meloni, da presidente del Consiglio in pectore, ha “cambiato faccia” e… voce. Non più urlatrice con la fiamma (tricolore) nelle viscere, ma posata leader del primo partito italiano con un occhio al Paese e l’altro all’Europa. Se ne è accorto anco leo?

Te lo dico da un pezzo: la ragazza è molto abile e tosta. Fa politica da sempre. Sa sbraitare in campagna elettorale e ragionare a vittoria acquisita. Sa fare la faccia e la voce feroce dall’opposizione, e usare le buone maniere mentre sta per entrare nella stanza del potere, sino a sfiorare il politicamente corretto (per lei abominevole in campagna elettorale e dall’opposizione). Arriva nel salotto buono e nella rete dei rapporti diplomatici senza aver mai corretto le sue precedenti esternazioni su Mussolini e Almirante, senza aver tolto la fiamma tricolore missina dal simbolo del partito, senza aver mai detto “il fascismo è una schifezza” o “una montagna di merda”, senza aver mai rinnegato i suoi alleati anti-europeisti e sovranisti ungheresi spagnoli e polacchi, senza aver mai riconosciuto come festa indistintamente di tutti gli italiani il 25 Aprile, festa della liberazione del Paese dal nazi-fascismo, grazie alla quale io, tu e lei stessa viviamo in una paese democratico; senza aver mollato i compagni (pardon, camerati) con cui, dopo essersi iscritta a soli 15 anni al Fronte della Gioventù, fece milizia attiva alla sezione missina di Colle Oppio, di cui era capo il Fabio Rampelli, non a caso oggi gran dirigente di Fratelli d’Italia… eppure è trattata da tutti come se l’avesse fatto… Sai dov’è la sede di Fratelli d’Italia?

 

È importante?

È significativo, altamente simbolico. Meloni e i suoi Fratelli d’Italia operano nel palazzo romano di via della Scrofa da un quarantennio simbolo e punto di riferimento di neofascisti e post-fascisti: dal 1984 in poi è stata sede, rifugio e qualche volta anche covo dei missini di Almirante e dei missini di Pino Rauti (la cui figlia Isabella – già moglie di Gianni Alemanno, primario militante e dirigente Msi, An, PdL, poi Prima l’Italia, Azione Nazionale, Mns e Fratelli d’Italia – è non a caso dirigente e senatrice meloniana). Quel palazzo di Via della Scrofa ha ovviamente ospitato anche i missini e post-missini di Gianfranco Fini. Tuttora vi sono ospitati, oltre a Fratelli d’Italia, la Fondazione Alleanza Nazionale (padrona di casa) e il quotidiano Secolo d’Italia. Pare che Meloni occupi la stessa stanza dove lavorò Giorgio Almirante e poi Gianfranco Fini. Insomma, la vincitrice delle elezioni è talmente brava e tosta da essere pervenuta alla vigilia dell’assunzione nell’areòpago del potere democratico, antifascista ed europeista, senza aver rinnegato nulla di ciò che altri avrebbero sbrigativamente rinnegato pur di raggiungere il Grande Obiettivo, la meta della lunga marcia da Colle Oppio a Palazzo Chigi… 

 

L’impressione è che quando si sta all’opposizione o durante la propaganda elettorale si sparano attacchi violenti, proclami e penultimatum solo per attirare l’attenzione del Popolo prima scontento e poi votante. Ma non è che è la solita propaganda, la solita strategia che si usa pure per vendere le pentole o i materassi?

Credo che Meloni sia di una spanna abbondante sopra i numerosi “venditori di pentole” che hanno animato nell’ultimo trentennio la politica italiana. Una tipologia che ha avuto un potente esemplare, quasi un glorioso pioniere in Berlusconi e che proprio in questa fase e in questi giorni vede in Salvini il suo massimo, indiscusso esponente, non a caso pesantemente penalizzato dall’elettorato di destra quando a destra è sorta una brava e tosta, quindi più credibile, come la Meloni. Lei ha lottato rivendicando la propria politicità e ora, a risultato acquisito, sa che deve attenuare, sfumare, temporeggiare e dialogare per non scatenare subito reazioni che potrebbero travolgere l’Italia e, con essa, il nuovo governo. Sa che, se è proprio necessario – come si vede in queste ore – deve alternare freno e acceleratore, per esempio con Draghi e con la Ue, addirittura ignorando del tutto la questione Mattarella (per molti suoi camerati e alleati l’origine di tutti i mali di ieri e di tutti i possibili “veti” di domani), per non creare e non crearsi imbarazzi eccessivi. Ma sono convinto che – appena bypassate le complessità, le difficoltà e le trappole del primo insediamento, e messi un po’ sotto controllo i pesanti pregiudizi nei suoi confronti da parte di autorità e istituzioni che potrebbero effettivamente rendere assai ardui se non difficilmente praticabili i primi passi del nuovo esecutivo – la presidente del Consiglio Meloni tirerà fuori tutti i tratti della sua personalità e storia politica, anche i più tosti, mai abiurati, di cui è peraltro assai e in-can-cel-la-bil-men-te orgogliosa. Altro che venditrice di pentole! Altro che Salvini! Assisteremo alle sue vere battaglie quando lei, assisa sulla poltrona di capa del governo, sarà in grado di sostenerle e penserà di poterle vincere. E allora ci saranno problemi seri per l’Italia democratica e progressista. Personalmente, spero che almeno allora la sinistra riesca ad esprimere un ceto politico e un’organizzazione in grado di fermare il degrado sovranista e isolazionista che la traduzione in seggi del Rosatellum ci promette o, meglio, ci minaccia, trascinando l’Italia tra i paesi di serie C o di quarta serie.

 

In ogni caso, è plausibile una Meloni non più nostalgica, ma fiera alfiera di un conservatorismo in salsa italiana?

Allo stato degli atti, la Meloni tosta e orgogliosa che conosciamo mi pare proporsi più come reazionaria che come conservatrice. Certo, non riesco a dire altrettanto di Raffaele Fitto, indubbiamente politico più tradizionale, di stampo democristiano, con una componente trasformistica. O di Guido Crosetto, anch’egli di origine democristiano, poi berlusconiano, più furbo che trasformista. Vedremo cosa uscirà dall’alleanza di Meloni con Salvini e Berlusconi – due maschere del teatrino mediatico ormai di ardua classificazione politica – e dal suo confronto con l’establishment italiano ed europeo. Vedremo se riuscirà ad opporsi alla Lega profonda, sempre incerta fra autonomia e “regionalismo differenziato”, e se si avvicinerà al popolarismo pronunciato dal Cavaliere e praticato da Tajani. Se fosse più morbida e concava, direi che Meloni potrebbe diventare col tempo conservatrice. Ma la vedo troppo tosta e orgogliosa perché non conservi la propria cultura e i propri istinti reazionari.

 

Ma sei d’accordo con la tesi che in democrazia anche i conservatori possono e devono governare e che chi storce il naso al riguardo è antiliberale e praticamente fascista? 

La caratteristica principale della democrazia – insieme al cosiddetto checks and balances(coesistenza, piena funzionalità e bilanciamento dei poteri) – è la praticabilità, anzi la concreta pratica dell’alternanza al potere: destra e sinistra, centrodestra e centrosinistra, conservatori e progressisti, liberaldemocratici e socialdemocratici… Anche il migliore dei governi di sinistra (parlo dal mio punto di vista), se rimane a lungo al potere, tende ad acquisire i vizi dell’arroganza e del clientelismo, quando non dell’affarismo. L’avevano capito lucidamente Moro e Berlinguer – e qui torniamo alla mia tesi di fondo dello spartiacque della storia italiana – quando tentarono di dar vita alla “democrazia compiuta”. Dal dopoguerra sino ad allora, in virtù della legge di Yalta e della divisione del mondo in due aree, rigidamente controllate dagli Stati Uniti e dall’Urss, non c’era stata possibilità di reale alternanza al potere, rimasto sempre nelle mani della Dc, con i comunisti e (sino ad un certo punto) i socialisti condannati alla opposizione perpetua… Ma Moro fu ucciso e quel tentativo abortì. Da allora abbiamo avuto un Paese confuso e rissoso, e poi privo di ideali e di politica, travolto disarmato dalla “modernizzazione” senza sviluppo e senza democrazia…

 

Ma torniamo a noi. 

L’alternanza è fondamentale non solo perché anche il migliore dei ceti politici, se titolare in esclusiva del potere, inevitabilmente si guasta, marcisce… Ma anche per motivi più pratici. Per esempio, a una politica spendacciona è positivo che si alterni una politica più attenta ai conti dello Stato. A una politica che privatizzi troppo è positivo che si alterni una politica più attenta agli interessi pubblici e all’intervento dello Stato…

 

Quindi, alternanza…

Ma perché questa si realizzi virtuosamente – e non attraverso trasformismi o lotte tribali – è ovviamente indispensabile che non vi sia da una parte una destra reazionaria e dall’altra una sinistra prevaricatrice. C’è bisogno di valori condivisi, diciamo di impianto liberale nei rapporti politici e di impianto socialista in economia. Si dovrebbero condividere i principi più elementari in materia di giustizia sociale, di libertà e di diritti individuali…

 

Peraltro fatti propri dalla nostra bella Costituzione.

Appunto. Per esempio, l’anti-fascismo e il superamento dei pesanti divari Nord-Sud non possono essere messi in discussione da nessuna forza politica che si voglia democratica e patriottica. E su questo Fratelli d’Italia e la Lega debbono ancora fare passi in avanti, anziché riproporre passi all’indietro – per non parlare di altro – i primi con la fiamma tricolore almirantiana e con l’ostilità verso il 25 Aprile (e persino verso Bella ciao), la seconda con il cosiddetto “regionalismo differenziato”… Non c’entra nulla il “riconoscimento reciproco” di cui spesso si parla. Da una parte e dall’altra ci si deve riconoscere, cioè condividere principi fondamentali della democrazia rappresentativa. E su questo piano in Italia è la destra che è in ritardo. Un ritardo che Meloni deve cercare di recuperare il più presto possibile se vuole godere del pieno rispetto che spetta a una leader democraticamente eletta, e se aspira a guidare un governo incisivo e di buona durata.

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