Maestro, manco il tempo di girare lo sguardo verso il mare, che nella politica italiana è successo di tutto. Ha sentito della divisione dei Cinque Stelle? Conte resta e Di Maio se ne va. È rimasto male alla notizia? Mi pare che lei abbia sempre avuto un debole per questi ragazzi che volevano aprire il Parlamento come una scatoletta di tonno…
Non scherziamo, Stornaiolo. In realtà ho cercato sempre di mantenere verso di loro – come bisognerebbe fare verso tutti e tutto, sempre – un’attenzione critica, scevra da ogni pregiudizio, favorevole o sfavorevole. Sin dalla nascita del Movimento, non ho mai condiviso certi entusiasmi acritici nei confronti dei grillini, né la puzza sotto il naso con la quale gran parte degli opinionisti nazionali ne hanno accompagnato gli errori e le ingenuità. Lei non ricorda, ma io mi rifiutai di andare sul palco del Vaffanculo-Day del 25 aprile del 2008 a Torino. Grillo aveva fatto tutta la sua campagna per l’abolizione del finanziamento pubblico ai giornali (e dell’Ordine dei giornalisti) usando il mio libro/dossier La casta dei giornali (Stampa Alternativa), che per questo ebbe una diffusione clamorosa. E mi aveva invitato a Torino. Ma io gli avevo detto di no, motivandolo con un articolo sul Manifesto: lui condivideva la mia analisi del fenomeno, ma io non condividevo la sua idea di fare terra bruciata di tutto (giornali e ordine dei giornalisti) dalla mattina alla sera. Insomma, lui voleva fare la rivoluzione – che, come sempre, finisce come sta finendo la vicenda grillina – e io ero, come sono, un convinto riformista. Ancora nel 2013, lui firmava la presentazione del mio libro INDECENTI! Dizionario degli orrori della vita pubblica in Italia (Stampa Alternativa) e la casa editrice Adagio del suo socio Gianroberto Casaleggio mi pubblicava l’ebook ANTOLOGIA DEL VENTENNIO (1992-2012). Il teatrino mediatico italiano. Insomma, loro aderivano a quello che io scrivevo e io non sono mai andato ad una loro manifestazione, non ho mai partecipato ad alcuna riunione, non mi sono mai candidato a niente. Ho seguito con interesse quel fenomeno e quel gran consenso popolare. Da incorreggibile sostenitore della democrazia rappresentativa parlamentare, consideravo positive e stimolanti le battaglie ecologiche e digitali di Grillo, ma sbagliata e contraddittoria la sua idea di presentarsi alle elezioni per il Parlamento da sostenitori della democrazia diretta. Il corto circuito era assicurato e così è avvenuto. Contraddizioni su contraddizioni, sino all’altro giorno, con Di Maio che compie sino in fondo il suo percorso dal peggio della democrazia diretta al peggio della democrazia rappresentativa (quello che ha fatto in questi giorni, pur non mancando di alcuni aspetti positivi relativi alla stabilità del governo Draghi, non è infatti politica, ma gioco di potere, gioco di palazzo) e con il miracolato Conte che, da perfetto pesce lesso democristiano con pochette, fa il percorso opposto e poco credibile, atteggiandosi a descamisado (“appellativo degli appartenenti a movimenti rivoluzionari di carattere populistico”). Come un improvvisato Di Battista.
La nuova formazione, “Insieme per il futuro”, dove si collocherà? Ma soprattutto, non le sembra un po’ stantìa come sigla?
Più che stantìo, quel nome mi sembra precario, provvisorio, anzi – per la precisione – propedeutico ad altro. In molti attribuiscono la ragione della fuoruscita di 61 parlamentari dal M5S e della formazione del nuovo gruppo – semplicisticamente e anche un po’ volgarmente – al fatto che molti di loro non hanno consegnato e non intendono consegnare al partito parte della loro indennità e al fatto che il M5S si appresta a confermare la regola per cui non ci si può presentare per un terzo mandato (ma poi si scopre che oltre i due terzi dei transfughi è solo al primo mandato). Come sempre, ogni gesto umano è complesso, nel senso che ha sempre più di una motivazione e di un obiettivo, al di là della stessa consapevolezza di chi lo compie. Per cui, è chiaro che in quel gesto ci sono anche le questioni dell’indennità e del terzo mandato. Ma c’è dell’altro: il rapporto e la fiducia di quei grillini in Di Maio, l’irritazione nei confronti del “marziano” (per loro) Conte, la tendenza di questi a gestire monocraticamente il Movimento, il timore che l’anti-draghismo di Conte potesse determinare effettivamente la caduta del governo e magari la fine anticipata della legislatura… In particolare per Di Maio, è ragionevole pensare che egli abbia voluto bloccare il crescente disallineamento di Conte rispetto alle posizioni e alle decisioni del governo, in particolare per la politica estera e per le armi all’Ucraina. Si sa che Di Maio è totalmente cambiato, rispetto al passato e che è molto legato a Draghi, come molto legati a Draghi – sino a evocarne la conferma a capo del governo anche per la prossima legislatura – sono altri esponenti politici più o meno di centro, tra vagolanti e altri potenzialmente prossimi o vagamente già intenzionati a ripetere il gesto di Di Maio abbandonando i rispettivi partiti.
Maestro, sta per caso dicendo che “Insieme per il futuro” potrebbe significare: intanto ci mettiamo insieme noi, ma lo facciamo per il futuro e per promuovere e unirci a nuove e in nuove aggregazioni? C’entrano Renzi e Calenda?
Potrebbero, perché no? Potrebbero entrarci, non entrarci o entrarci e uscirne in tanti: Renzi, Calenda, i sindaci Brugnaro e Bucci, qualcuno dice pure Decaro, Toti, Lupi, Quagliariello, Carfagna, Gelmini, Brunetta, Casini, Tabacci, Giorgetti…
Adesso però tocca anche a noi riposizionarci. Ad esempio: “uno vale uno” o “uno non vale l’altro”? Noi dove ci buttiamo?
Facciamo una cosa: non ci buttiamo da nessuna parte. Sono loro, i Di Maio e i grillini di ogni tipo a essere diventati quelli che sono in base al principio dell’“uno vale uno” e a ribaltare oggi quel principio utilitaristicamente per evitare che qualcuno, in base ad esso, possa prendere il loro posto. Ora i Di Maio rivendicano che uno qualsiasi non possa valere quanto loro, che hanno già fatto esperienza e hanno imparato il mestiere. Un trasformismo vecchio come il cucco, sotto le insegne del se la cantano e se la sonano. Noi non ci buttiamo da nessun a parte, caro Stornaiolo. Non diventiamo ministri, né presidenti della Camera, né presidenti di commissione parlamentare, né direttori di rete o di telegiornale. Lopez continua a scrivere. Stornaiolo a recitare e a presentare. Perdendoci in prebende e poltrone, ma guadagnandoci in onore e in salute.
E tutti felici e contenti…
Sino a un certo punto. Non dimentichiamo che la nascita, la crescita e poi il tramonto del movimento grillino sono stati prodotti e hanno avuto, stanno avendo e avranno riflessi sul sistema democratico e istituzionale italiano, Insomma il grillismo – preferisco usare questo termine rispetto a M5S perché di fatto è stato Grillo che la gente ha votato – non è, non è stato solo un fatto di colore, ma un fatto politico, cioè l’ennesima reazione dell’elettorato italiano al tradimento della novità elettorale di turno. Sto dicendo che, virtuosamente, l’elettorato italiano – che ha dalla sua solo il voto per tentate di cambiare le cose che non funzionano – di volta in volta ha investito su chi, in una maniera o nell’altra, si presentava come il fatto nuovo e innovativo: Berlusconi, Ulivo, Grillo, Salvini… Se poi il Nuovo fallisce, la colpa non è dell’elettorato che ha votato il Nuovo, tanto meno se poi l’elettorato è pronto ancora a votare il nuovo Nuovo che emerge…
Come ora Meloni…
Meloni il nuovo? Mah! Rimane il fatto che la fine conclamata del grillismo lascia un vuoto. Vedremo se, di qui alle prossime elezioni politiche, qualcosa di credibilmente nuovo riuscirà ad emergere o se, al contrario, l’elettorato dovrà scegliere fra l’usato e l’astensionismo.
BEPPE LOPEZ, classe 1947, è nato a Bari, nel quartiere Libertà. Da giornalista, direttore di giornali e di agenzia e saggista, si è occupato per oltre mezzo secolo di politica interna, di giornali locali e di analisi e critica dell’informazione. Ha collaborato con le più importanti testate nazionali. Ha partecipato come cronista politico alla fondazione del quotidiano la Repubblica. Ha fondato e diretto quotidiani e riviste. Ha diretto la Quotidiani Associati. Ha pubblicato racconti storici e saggi sul giornalismo, ottenendo uno straordinario successo editoriale in particolare con La casta dei giornali (Stampa Alternativa 2007). Di notevole rilievo per la cultura e la musica popolare italiana la sua biografia di Matteo Salvatore, L’ultimo cantastorie (Aliberti 2018). Ha esordito come narratore con Capatosta (Mondadori 2000), divenuto subito un importante caso letterario, proseguendo con Mascherata reale (Besa 2004), La scordanza (Marsilio 2008) e La Bestia! (Manni 2015). Sono appena arrivati in libreria il suo ultimo romanzo, Capibranco e la trilogia Quartiere Libertà, contenente i suoi tre romanzi ambientati in questo quartiere popolare di Bari (Capatosta, La scordanza e Capibranco), che raccontano, con un vivace “idioletto” conformato su italiano e materiale dialettale barese, un secolo di vita nazionale e un quartiere simbolico dell’intera umanità.
© Riproduzione riservata