Maestro, stavolta parliamo di un fatto che interessa sia Roma che Bari. Il Cinema? Macché: i cinghiali! Ormai ci conviviamo. Dividiamo gli stessi spazi. Poveri a loro, non trovi?
Un po’ tutti gli animali del creato, a petto degli uomini, sono poveri a loro. L’antropizzazione divora e massacra tutto e tutti, alla fin fine compresi gli stessi animali umani. Per la gran parte degli animali i problemi sono generalmente due: la diminuzione progressiva degli spazi a loro disposizione a causa delle esigenze, delle pretese e dei capricci dell’uomo, e gli allevamenti intensivi per soddisfarne bisogni e consuetudini in particolare alimentari. Ma per i cinghiali la questione si pone in termini assai diversi. Ora in Italia ce ne sarebbero circa un milione, troppi, tanto che sono cominciate qui e là vere e proprie campagne di abbattimento. Ma sai che sino a cinquanta/sessant’anni fa erano considerati in pre-estinzione? E che ci si è dati molto da fare per ripopolare di essi i boschi, affinché i cacciatori potessero dedicarsi al loro simpatico passatempo preferito di sparare su viventi? Spesso i cacciatori hanno anche provveduto ad alimentarli iperproteicamente affinché non lasciassero i loro abituali territori di caccia?
Ogni volta che penso al cugino del cinghiale, il maiale, un po’ mi rattristo. Povero a lui. Quotidianamente sacrificato per imbandire le tavole di mezzo mondo. C’è una frase che mi ha sempre scosso: “Del maiale non si butta niente”, quasi fosse solo un prodotto di consumo e non un essere vivente…
Povero maiale. È lui, cioè il suo allevamento intensivo e il suo uso sistematico in cucina che hanno reso nel secolo scorso marginale il desiderio ed il ricorso per fini alimentari al cinghiale, condannandolo alla pre-estinzione con la sola alternativa del rapporto diretto, pressoché esclusivo e micidiale con i cacciatori. Che ripopolano, nutrono e non vedono l’ora di sparare.
E tu?
Mai sparato, mai preso un’arma in mano.
No, dico: e tu che rapporti hai con il maiale, con la carne a fini alimentari?
Posso risponderti come ti risponderebbe la Bestia, con le sue stesse parole?
Certo, so bene che hai riversato nel romanzo La Bestia! (sottotitolo: Favola edificante per adulti sulla “costruzione del nemico”, Manni editore 2015, ndr.) un po’ tutta la tua filosofia di vita, facendone portatore il protagonista, il forestiero, l’uomo della foresta che decide di entrare per la prima volta nella città, pur sapendo di rischiare persino la vita per questo.
Era cotale il mio rapporto con gli altri animali terrestri e cotale l’emozione alla vista di un essere vivente capace di librarsi in cielo, da non aver giammai avuto la tentazione di ucciderli per le mie necessità. I pesci? Li ho sempre sentiti più lontani da me rispetto a una scimmia o a una grande aquila. Ma forse a torto, in virtù delle mie ristrette cognoscenze scientifiche (peraltro anche per quello che riguarda la complessa vita dei vegetali e le tracce di vita che ho imparato a rilevare negli stessi minerali). Certo, sono anch’essi, i pesci, come assevererebbero i cittadini, “figli di Dio”, abbenché orfani d’anima. Insomma, hanno certamente anch’essi istinti di vita e di riproduzione, rapporti “famigliari” e di gruppo. Ma si deve pur porre un limite fra il rispetto che si ha per gli altri e l’ambiente in cui si vive, e il diritto a una sovravvivenza dignitosa. Un limite morale, indi arbitrario e individuale (non come quelli, coeguali per tutti, fissati in Città dalle leggi, dagli usi e costumi, e dalle superstizioni); una regola, un principio etico, nel quale intravedo la giusta dose di tutela di sé e di rispetto per gli altri che sempre debbono convivere, quasi identificandosi – a mio parere – nei comportamenti degli esseri pensanti. Cotesta regola, per me, non è propriamente: non mangiare animali. È, più precisamente, quella di ridurre al minino i danni che arreco agli altri e all’ambiente per la mia sovravvivenza. Per una sovravvivenza adeguatamente dignitosa.
Come ti definiresti, allora, Bestia o Maestro che tu sia? Onnivoro? Carnivoro? Vegetariano? Vegano?
Non mi definisco. Tendo semplicemente a rispettare chi non ha voce. E agli animali non solo terrestri, come sai, manca solo questo: per il resto, hanno sentimenti, organizzazione sociale, intelligenza, provano dolore, eccetera eccetera. Come la Bestia, mi sono dato, più che una regola, un perimetro di comportamenti: appunto, ridurre al minino i danni che arreco agli altri e all’ambiente per la mia dignitosa sopravvivenza.
E con gli altri, i mangiatori di carne, come ti comporti? Ti rifiuti che in casa tua e in tua presenza se ne mangi? Imponi anche alla tua compagna e a tuo figlio il regime vegetariano? E quante liti fai ogni giorno, nella vita reale e sui social, per cercare di convincere i tuoi interlocutori a smetterla di cibarsi di viventi allevati o cacciati a tale scopo?
Non faccio mai lite per questo. E la mia compagna e mio figlio mangiano quello che vogliono e di cui hanno bisogno. Non sono quasi mai radicale nei comportamenti. Sono radicale negli obiettivi, ma tendo, nei contrasti, a mettere in campo argomenti persuasivi. Per esempio, a un convinto mangiatore di carne non dico mai che dovrebbe vergognarsi o che dovrebbe smetterla di farlo, per ragioni etiche oltre che dietetiche. Gli dico soltanto che dovrebbe porsi la questione – dato che ormai tutti sappiamo della complessità della mente e della vita degli animali – e gli chiedo se ritenga giusto ammazzare e scuoiare esseri viventi per reggersi i pantaloni o per portarsi in giro documenti e fogli, anziché cercare cinture e borse di materiale tecnologico, ormai alla portata di tutti.
Un metodo dialettico, diciamo, di tipo socratico, basato sul dialogo e finalizzato a tirar fuori la “verità” dall’interlocutore?
L’uso alimentare degli animali ha assunto le attuali, sconsiderate dimensioni non solo e non tanto per reali esigenze non altrimenti soddisfacibili ma soprattutto per abitudini arcaiche dure a morire e per il potere inerziale degli enormi, diffusi interessi che ruotano attorno ad esso. Perciò il contrasto su questo argomento è quasi sempre radicale, animato spesso da fanatismo. Non si può condannare e schiacciare l’interlocutore sui propri errori o complessi di colpa. Si deve invece prenderla trasversalmente e cercare di tirar fuori dal carnivoro stesso le sue contraddizioni. Mai partire dal boccone di carne. Ripeto: partire dalla cintura di pelle, poi magari passare alle scarpe di pelle, poi ancora al giubbotto di pelle (ne fanno ormai di elegantissimi con materiale tecnologico), poi…
BEPPE LOPEZ, classe 1947, è nato a Bari, nel quartiere Libertà. Da giornalista, direttore di giornali e di agenzia e saggista, si è occupato per oltre mezzo secolo di politica interna, di giornali locali e di analisi e critica dell’informazione. Ha collaborato con le più importanti testate nazionali. Ha partecipato come cronista politico alla fondazione del quotidiano la Repubblica. Ha fondato e diretto quotidiani e riviste. Ha diretto la Quotidiani Associati. Ha pubblicato racconti storici e saggi sul giornalismo, ottenendo uno straordinario successo editoriale in particolare con La casta dei giornali (Stampa Alternativa 2007). Di notevole rilievo per la cultura e la musica popolare italiana la sua biografia di Matteo Salvatore, L’ultimo cantastorie (Aliberti 2018). Ha esordito come narratore con Capatosta (Mondadori 2000), divenuto subito un importante caso letterario, proseguendo con Mascherata reale (Besa 2004), La scordanza (Marsilio 2008) e La Bestia! (Manni 2015). Sono appena arrivati in libreria il suo ultimo romanzo, Capibranco e la trilogia Quartiere Libertà, contenente i suoi tre romanzi ambientati in questo quartiere popolare di Bari (Capatosta, La scordanza e Capibranco), che raccontano, con un vivace “idioletto” conformato su italiano e materiale dialettale barese, un secolo di vita nazionale e un quartiere simbolico dell’intera umanità.
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