Trovarselo nei polmoni senza neanche la colpa di aver fumato. Così il cancro ha sorpreso in vita Alessio Viola, scrittore, giornalista ed editorialista di gran vaglia. Ne aveva anche parlato in un libro: Ti strappo e ti getto in pasto ai cani, che consigliamo a tutte ed a tutti di leggere per capire come si possa dividere il proprio tempo utile con questo infido male imbracciando -nonostante tutto- lo scudo dell’ironia.
Con i suoi trascorsi da operaio e sindacalista, durante la sua esistenza ha sempre lottato a favore dei poveri, degli sfortunati, degli spatriati (a cominciare dal Popolo palestinese).
Nato a Troia, in provincia di Foggia, di quel territorio ha sempre conservato nella sua indole l’orgoglio, la rudezza di chi non si lascia piegare dalle avversità, l’antica arte contadina di stare al proprio posto senza esibire lagne o successi.
Lascia la moglie Ileana e l’adorato figlio Cesare ma, senza nulla togliere ai legami più stretti, lascia anche un profondo vuoto nella nostra Comunità. Alessio è stato il bastian contrario che, quando ha parlato o ha scritto, come cittadino informato dei fatti o come editorialista su quotidiani e riviste, ha contato i peli al potere, ha denunciato inefficienze amministrative senza nessuna censura, ma con la libertà di chi non ha nulla da nascondere. Giornalista purissimo, quindi, ma anche acuto scrittore di romanzi noir e saggi interessanti.
Pochi giorni prima di oggi, giorno della sua ultima partenza, egli aveva commentato sui social, con una poesia di Sergej Aleksandrovič Esenin, la dipartita di Siniša Mihajlović. È così che lo salutiamo anche noi. Senza rischiare di sprofondare in quella retorica della parola contro la quale il nostro storceva il naso e alzava gli occhi al cielo. L’augurio è che per il resto dell’eternità possa continuare a giocare a Rugby con quella sua maglietta sudata di felicità.
Ciao Professore, mancherai.
Noi adesso ce ne andiamo a poco a poco
Noi adesso ce ne andiamo a poco a poco
verso il paese dov’è gioia e quiete.
Forse, ben presto anch’io dovrò raccogliere
le mie spoglie mortali per il viaggio.
Care foreste di betulle!
Tu, terra! E voi, sabbie delle pianure!
Dinanzi a questa folla di partenti
non ho forza di nascondere la mia malinconia.
Ho amato troppo in questo mondo
tutto ciò che veste l’anima di carne.
Pace alle betulle che, allargando i rami,
si sono specchiate nell’acqua rosea.
Molti pensieri in silenzio ho meditato,
molte canzoni entro di me ho composto.
Felice io sono sulla cupa terra
di ciò che ho respirato e che ho vissuto.
Felice di aver baciato le donne,
pestato i fiori, ruzzolato nell’erba,
di non aver mai battuto sul capo
le bestie, nostri fratelli minori.
So che là non fioriscono boscaglie,
non stormisce la segala dal collo di cigno.
Perciò dinanzi a una folla di partenti
provo sempre un brivido.
So che in quel paese non saranno
queste campagne biondeggianti nella nebbia.
Anche perciò mi sono cari gli uomini
che vivono con me su questa terra.
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