Roberto Ottaviano, sassofonista e compositore barese, per più di una volta “musicista dell’anno” nel referendum indetto dalla rivista Musica Jazz che premia le eccellenze italiane e internazionali, qualche giorno fa, in un post, ha annunciato il suo ritiro dalle scene come organizzatore di eventi musicali per i motivi che state per leggere.
“Si è appena conclusa la seconda edizione di Musiche Corsare. Quattro giornate intense traboccanti idee, capacità di relazione, letture di storie e viaggi su strade della memoria ma anche proiettate in un mondo post umano. Quattro giornate irripetibili per una città stanca, indolente, ciuccia, presuntuosa e cazzeggiona. Dove oggi più che mai sono calzanti aforismi, canzoni e clichè su questa baresità. Quattro giornate in cui l’abbraccio con una ciurma di corsari è stato vitale e salvifico. È stata anche l’occasione per salutare con tristezza ma con necessità i miei 14 anni con l’Associazione nel gioco del Jazz (e qui ringrazio pubblicamente il suo presidente, Donato Romito che, dopo avermi inseguito per un po’, mi invitò a realizzare quanto abbiamo poi realizzato, compiutamente). Il mio addio non è però solo alla Direzione Artistica in questione. É un addio a qualsiasi mio impegno di questo genere a partire dalla fine di quest’anno. Una decisione presa per via di alcune considerazioni che forse arrivano perfino tardive. La prima è che alla mia età è giusto passare il testimone e che risparmi le energie per la mia vita da musicista, perché fortunatamente sono ancora nella fase in cui una ne faccio e cento ne penso…
Poi c’è il sentirmi ormai inadeguato a svolgere un ruolo che implica delle scelte e delle visioni, che siano fedeli ad altrettante esperienze e valori, in un contesto radicalmente cambiato. Un contesto in cui moda, marketing, consumo, e nuovi idoli, hanno preso il posto di un ascolto lento e meditato. Di un respiro profondo ed un esercizio delle sinapsi che stimolino l’ascoltatore a non fare collegamenti banali e primitivi. E di compromessi ne abbiamo fatti, ma quelli necessari. Non posso cedere però all’idea che il “Jazz” sia un cocktail, un Karaoke, ricchi premi e cotillons, oppure una grande sagra paesana in cui la gente fluttua con una birra in mano in un recinto per mandrie di cavalli mentre su di un palco c’è un rumore di fondo….
Rispetto il pubblico, ma assecondarne semplicemente il “gusto” è una operazione mediocre, che impedisce qualsiasi arricchimento culturale.
Chi opera in questo modo si rende artefice della “non identità” di una comunità. Ho provato, per necessità e non per scelta, a dare un contributo in tal senso per oltre quarantanni. Ora è tempo di tirare le reti a secco e fumare la mia pipa. Un abbraccio a tutti voi”.
Il sottoscritto ha inteso rispondergli così:
“Ammetto di essere un cazzeggione eppure, Roberto mio, condivido pienamente il tuo sfogo. La vita dei salmoni, cercando sempre di andare controcorrente, non è delle migliori. Hai ragione, combattere contro la mediocrità è impossibile da soli.
Atteso che ognuno è libero di scegliere il meglio per sé, è anche vero che tante e tanti, non conoscendo le varie “forme” dell’arte -nel tuo caso- della musica, spesso si accontentano del banale. Ecco, finché non proveremo ad educare al bello il Pubblico ci saranno crisi come la tua e lanci di pietre nelle periferie verso magnifiche orchestre. Sia ben chiaro, la responsabilità non è solo di noi artisti, ma anche di chi potrebbe, con fondi pubblici comunali, regionali, nazionali ed europei provare a “spiegare”, a chi non ne ha gli strumenti, che ci sono anche altre cose belle oltre quelle che vive quotidianamente e che immagina tali, ma che così non sono.
Il mainstream vince sempre, si sa, ma dalle nostre parti, con una cordata intelligente tra enti pubblici ed artisti, qualcosa di più si sarebbe potuta fare. L’Educazione al Bello è necessaria, fondante. E per carità, ciò che intendo non è la coltivazione di un gusto figlio di una serie di divieti morali ed estetici, tutt’altro! Nell’arte come nella vita, il come è sempre figlio del perché e non c’è talento che valga se insieme non ci si mette pure la competenza. Questi i punti di partenza per tornare a ritroso su una scelta che comincia ad incasinarsi da quando Aristotele inventa il verosimile. Da allora botte da orbi tra chi, da una parte, parteggia per La Gioconda di Leonardo e chi, dall’altra, per Le demoiselles d’Avignon di Picasso. In realtà una guerra tra eguali. Oggi le due opere sono sconosciute ai più e -come si dice- qui casca l’asino. Il segno ed il suo significato sembrano aver perso vigore e tutto passa nella più totale inedia, pigrizia ed indifferenza. Altri i tempi in cui si scendeva in piazza (metaforicamente) contro gli stereotipi, alla ricerca forsennata della freschezza e soprattutto della… sorpresa! Tutto finito. Oggi basta un tatuaggio al posto giusto e vai, i fans impazziscono. È la famosa trappola dello specchio, il mito di Eco e Narciso, la storiella del chi sono io e del chi sei tu. In un mondo di autoreferenti dunque (a cominciare dagli amministratori pubblici), l’artista che “ricerca” (non è il mio caso, io non ho lamenti da emettere, mi è andata fin troppo bene), si ritrova solo a fumare la pipa. Nel tuo caso, mi auguro che sia come quella di Magritte. Abbiamo ancora bisogno di te. Ciao, cumpà”.
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