Nel 2021 in Sudan le Forze Armate sudanesi (SAF) guidate dal Generale Abdel Fattah al-Burhan e le Rapid Support Forces (RSF), cioè le forze paramilitari del paese, con a capo il Generale generali Mohamed Hamdan Dagalo (noto come Hemedti), hanno preso il pieno potere. Per farlo hanno spodestato il governo di condivisione del potere civile-militare instaurato nel 2019 dopo un colpo di Stato che ha rovesciato il leader al-Bashir.
Il nuovo equilibrio, gestito dalle figure chiave delle due fazioni, inizia a traballare quasi subito a causa della mancanza di intesa su chi avrebbe esercitato il controllo. Una stabilità precaria che, grazie ad intense negoziazioni, sembrava indirizzata verso un nuovo governo civile: nel dicembre 2022 viene infatti firmato un accordo preliminare per porre fine al governo militare, che doveva diventare definitivo nell’aprile 2023.
A causa delle discussioni sul processo di transizione, il 15 aprile 2023 la situazione in Sudan degenera definitivamente e, con l’attacco delle RSF al quartier generale dell’esercito di al-Burhan, scoppia una guerra attiva ancora oggi.
Guerra in Sudan: 15 mesi di conflitto
Da quella data, quando gli scontri sono iniziati nella capitale Khartoum, la guerra in Sudan non si è più fermata, coinvolgendo anche gruppi armati e milizie etniche e filo-governative. Si sono susseguiti attacchi aerei, bombardamenti, operazioni militari e conflitti a fuoco con armi di qualunque tipo, comprese l’artiglieria pesante e i droni da combattimento.
La disputa si è allargata, settimana dopo settimana, ad altre zone del paese, provocando la distruzione di strade, ponti, infrastrutture e abitazioni e la chiusura di aeroporti, scuole e ospedali. Per i civili, le conseguenze sono state drammatiche: migliaia i feriti e i morti, altrettanti gli sfollati, una sempre più grave carenza di cibo, acqua e medicine, un dilagare di malattie ed epidemie, crisi alimentare e malnutrizione acuta diffusa, per una catastrofe umanitaria senza precedenti.
A tutto questo si aggiunge l’insufficienza degli aiuti umanitari e la crescente difficoltà delle Organizzazioni a portare gli aiuti indispensabili, a causa dei blocchi e delle limitazioni messe in atto dalle milizie in guerra, che spesso rende necessaria la sospensione delle attività e l’evacuazione del personale. Si tratta di una situazione che, almeno per il momento, non vede una fine immediata per la totale mancanza di apertura da parte di entrambe le fazioni per giungere a un accordo che possa porre fine al conflitto.
Quale può essere il prossimo futuro in Sudan
Con le organizzazioni umanitarie che continuano a denunciare crimini e altre gravi violazioni del diritto internazionale umanitario e la richiesta sempre più pressante di un intervento immediato, il resto del mondo si sta finalmente muovendo. Dopo i negoziati falliti tenuti a Gedda, in Arabia Saudita, in occasione del primo anniversario dell’inizio della guerra in Sudan si è svolta a Parigi una conferenza internazionale organizzata da Francia, Germania e Unione Europea, che ha raccolto fondi da destinare ad aiuti sotto forma di cibo, acqua, medicinali e altri bisogni urgenti.
Anche l’ONU è intervenuta, con un piano di aiuti umanitari da 2,7 miliardi di dollari, mentre recentemente l’UE ha espresso il proprio sostegno a favore di tutti gli sforzi per porre fine alla guerra, compresi i colloqui per il cessate il fuoco tra le parti in conflitto programmati dagli Stati Uniti e ospitati dalla Svizzera e dall’Arabia Saudita nel mese di agosto 2024, a cui prenderanno parte come osservatori anche i rappresentanti dell’Unione africana, dell’Egitto, degli Emirati Arabi Uniti e delle Nazioni Unite.
Questo è un invito al negoziato che al momento è stato accolto solo dal comandante delle Rapid Support Forces (RSF), mentre non è ancora sicura la partecipazione dell’altra forza in causa.
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Cosa sta succedendo in Sudan
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