Quante volte abbiamo sentito questa affermazione dal politico di turno, tutto intento a tagliare fondi pubblici o dall’intellettuale omologato con l’allergia verso l’assistenzialismo della controparte?
Troppe? Io, lo confesso, troppe volte l’ho anche pensato nello sconforto dell’imprenditrice che cerca di far quadrare i conti che ahimè non tornano. Purtroppo la ‘malattia’ di cui soffro, che mi ha fatto intraprendere la strada accidentata dell’editoria mi fa associare alla cultura non certo la fame, ma la sete.
Quella sete che ti fa da studente cercare una fonte alla quale dissetarti, da editore una fonte d’ispirazione per creare dei libri che possano lasciare il segno del nostro passaggio su questa terra o anche, e non è da meno, che possano solo cambiare la prospettiva di una giornata o di una serata non votata alla TV.
La sete di conoscenza ha fatto dell’uomo l’essere che cerca di scoprire, di andare al di là di quelle colonne d’ercole che prima di noi qualcuno ha posto come limite.
‘Fatti non foste a viver come bruti ma per seguir virtute e canoscenza’ scriveva Dante e cosa più di un libro è capace di metterci in condizione di realizzare tali nobili propositi?
Sentiamoci assetati quando cominciamo a leggerne uno, stordiamoci con la poesia delle parole, inebriamoci con il profumo della carta e, infine, sentiamoci appagati solo quando quel libro lo avremo letto
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