I precari della scuola che hanno raggiunto più di 36 mesi di servizio hanno pieno diritto a ricevere la stabilizzazione del proprio rapporto di lavoro. È questo il principio di diritto sancito dal Tribunale di Napoli – Sezione Lavoro, con le sentenze nn. 528, 529, e 530 del 21 gennaio 2015 . Il Tribunale, dopo il rinvio della questione alla Corte di Giustizia che si è pronunciata lo scorso 26 novembre, ha così riavviato le controversie, applicando le conclusioni disposte dalla Corte UE.
Confconsumatori, con l’avv. Antonio Pinto, sottolinea che: “è la prima volta che un Tribunale statuisce la conversione del rapporto di lavoro da tempo determinato a tempo indeterminato, in favore di docenti precari con contratti a tempo, ripetuti per più di 36 mesi. Tuttavia tale principio giuridico ben potrebbe applicarsi a tutti i rapporti di pubblico impiego, si pensi ad esempio al tema degli stabilizzandi della Regione Puglia. Pertanto, qualsiasi lavoratore si trovi nella situazione descritta dalla Corte di Giustizia può richiedere che sia accertato questo suo diritto”.
Secondo il Tribunale che ha “ricopiato” le motivazioni della Corte europea, la violazione delle norme comunitarie in materia di impiego a tempo determinato nel sistema scolastico, non comporta solo il riconoscimento dell’anzianità maturata o il risarcimento per i periodi non lavorati, ma determina anche la stabilizzazione del rapporto di lavoro. Il Tribunale di Napoli ha così testualmente motivato: «l’Ordinamento non può, se vuole evitare abusi, ovviare ad una scopertura fisiologica attraverso la precarizzazione», e dispone di rendere «effettiva la conversione dei contratti di lavoro da determinato ad indeterminato di tutti i rapporti a termine successivi con lo stesso datore di lavoro pubblico, dopo trentasei mesi anche non continuativi di servizio precario, in applicazione dell’art. 5, comma 4-bis, del Dlgs n. 368/2001». E tale soluzione non contrasta con l’articolo 97 della Costituzione che impone il concorso pubblico per accedere ad un impiego in una Pubblica amministrazione, in quanto tale disposizione «rappresenta un principio costituzionale debole, destinato a cedere di fronte agli obblighi derivanti dalla appartenenza dell’Italia alla U.E».
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