“E’ che dietro le cose ci sei tu, Primavera, che incominci a scrivere nell’umidità, con dita di bambina giocherellona, il delirante alfabeto del tempo che ritorna”. (Neruda)
Forse perché, insieme ai boccioli che timidamente si riaffacciano e sbocciano, trepidanti e coraggiosi, come ogni primavera, ritornano anche i ricordi. Il passato s’intreccia al presente e lascia germogliare foglioline verdi, e vere. Un’acuminata tenerezza sfonda il cuore, eppure com’è difficile di questi tempi credere che a questo naturale accadere possa corrispondere una primavera del mondo.
L’incessante saccheggio dei valori e delle vite, l’emergenza insensata delle ambizioni, la logica sterile dei profitti, impoverisce e uccide ogni possibile speranza di umanizzazione, non riconosce all’esistenza il suo valore. Detesto l’individualismo della violenza perpetrata, sui corpi, sulle persone. Detesto la muffa ovattata dell’indifferenza che incapsula ogni grido e lo trasforma in silenzio forzato. Che fine ha fatto la bellezza con cui veniamo al mondo e siamo mondo? Diventano pesanti le ingiustizie, macigni di terra bruciata e arida che ci occludono lo sguardo lasciando margine soltanto al male. In questo deserto di orizzonti la primavera poteva lasciar intravedere la fioritura dei ciliegi ed ecco invece l’ultima ciliegina, quella marcia! La parità di genere negata ha lo stesso odore acre del sangue di teste tranciate che scola muto su una battigia dimenticata, è uguale all’oltraggio perpetrato da chi non ha altro mezzo se non quello di mettere a zittire, di impedire lo scambio, sottomettendo, negando.
E’ così che la libertà crolla sul marciapiede. Posso stare qui? Non devo chiedere il permesso!
Posso partecipare? Ne ho pieno diritto.
Io non voglio negarmi una primavera nuova, ma quanto può uccidere la delusione… Bisogna esser/ci accanto, dirselo e condividerlo l’impegno, abitare ognuno nella prossimità dell’altro senza falsità e ipocrisie. Io voglio credere ancora nella primavera di un NOI che si moltiplica, che transita l’uno nell’altro e sviluppa paesaggi, diviene soggetto e contrasta quella quota di egoismo che non porta in alcuna direzione. L’anonimato poi mi ha sempre disgustata. Che si riannodino i fili, gli intenti, con applicazione, con le persone, i luoghi, i percorsi condivisi e non nell’oscurità di un voto nascosto e falso.
Occorre farsi ampi, spaziosi. Non altrove, ma qui. Cosa c’è di più ‘politico’ di questo approccio? Quale più ‘economico’ ethos?
Peccato, peccato davvero per gli uomini mascherati, l’unico che mi piaceva da bambina era Zorro, era intrigante e coraggioso…ma questi, questi che siedono nelle loro poltroncine dorate e non hanno neanche il coraggio e la franchezza di esprimere le proprie contradittorie opinioni a volto scoperto, beh…sinceramente, mi fanno proprio tanta pena!
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