13 Ottobre 2024 - Ore
Pensieri Spettinati

Chiedimi se sono felice (VIDEO)

Nel 5° Rapporto mondiale sulla Felicità dell’ONU del 2017, l’Italia occupa il 48esimo posto nella classifica

“Non so se il mondo sarà salvato, ma se lo sarà, verrà salvato dagli uomini stanchi, perché si possono soffermare a riflettere”

André Gide

 

Nel “Quinto Rapporto mondiale sulla Felicità” dell’ONU del 2017, l’Italia occupa il 48esimo posto nella classifica. In quattro anni, siamo slittati indietro di tre posizioni, siamo dietro Nicaragua e Uzbekistan. Già nel 2007, secondo il NYT, il Belpaese era affetto da un grave ‘malessere’. In Italia, non solo al Sud, è in costante aumento il consumo di antidepressivi, ma di fronte alla “Grande depressione” che ci ha travolti, quali sentimenti dovrebbero abitarci se non paura, disorientamento e malinconia? Se fossimo euforici non saremmo emotivamente intonati alla grigia congiuntura socio-economica che stiamo vivendo.

Il Mezzogiorno, forse a causa delle tante promesse mancate, mette in atto una sorta di rinuncia preventiva: a che vale darsi da fare se nulla cambia? E la rassegnazione non sarà dovuta anche ai secolari inviti ad essere umili, ad attendere e ad aver pazienza? Queste ‘catene morali’ non avranno imprigionato lo spirito delle popolazioni del Sud smorzandone l’azione e rendendole fataliste? Il mito di un Meridione gioioso e solare evoca una riflessione di García Márquez: “Noi dei Caraibi abbiamo fama d’essere gente allegra, molto aperta, invece siamo la gente più chiusa, più ermetica e più triste che ci sia”.

Proprio nei luoghi caldi e assolati si manifesta il “demone meridiano” portatore di malinconia e accidia.

Ma la malinconia è una tonalità emotiva, non una malattia, non un ‘nemico’ da combattere e reprimere. Solo se inespressa si farà depressione, patologia, e la sua voce si tradurrà in sintomi che prontamente saranno curati con psicofarmaci “a pioggia”, come se si potesse ridurre l’anima ad un “evento chimico”.
Un farmaco non può essere la bacchetta magica con cui risolvere sofferenza e infelicità che dovrebbero comunque avere diritto di parola: perché non ascoltiamo cosa hanno da dirci? La volontà del depresso appare congelata, ma al fondo potrebbe esserci una tensione tra impulsi contraddittori, una protesta imbavagliata.

Lo psicoanalista James Hillman pensa che bisognerebbe prendere il mondo come paziente: “La vera rivoluzione nella nostra società ha inizio tra quelli che riescono a sopportare la propria depressione perché questo è un modo per sottrarsi all’intera condizione maniaca della società moderna: consumi, iperattività…Per sopravvivere in questa cultura bisogna essere pazzi: spendere, consumare,sprecare… non fermarsi mai”.

Può darsi che nell’animo di chi è colpito dal cosiddetto “male oscuro” si agiti un bisogno di autenticità, un’indistinta inquietudine che porta in profondità il pensiero, mentre nel modo d’essere superficiale in cui facciamo zapping anche tra i sentimenti, questo dev’essere light.
A ciò provvede l’industria dei “mezzi di distrazione di massa” che è riuscita, con smartphone e tablet, forse anche metaforicamente, a far “piegare la testa” alle nuove generazioni, convincendole che quegli schermi sono le uniche finestre a cui val la pena affacciarsi per ‘connettersi’ con la realtà.

In una città cinese hanno addirittura creato sui marciapiedi una corsia pedonale per gli “smartphone addicted”, i dipendenti da cellulare che non separandosi mai dal loro cellulare potranno così camminare senza dover alzare lo sguardo 
L’incontro relazionale-comunicativo “può guarire tutto”, secondo lo psicologo Roberto Faiulo.
Ma chi osa oggi una comunicazione autentica? A cominciare dall’ambiente dei social, dove si espone l’immagine di se stessi ed ogni profilo è spesso una piccola operazione di self-marketing, quanta verità c’è in quelle vetrine virtuali? I “like” e i commenti che riceviamo quanto ci condizionano?
Sono questi i presupposti per una relazione vera, per un dialogo sincero? Sulle sponde del Mediterraneo è nata la filosofia, potremmo tornare lì, al “cogito”, per sottrarre alla malia del balordo “twitto, posto, taggo dunque sono” le donne e gli uomini di domani.

 

L’inquietante ritratto di una società smartphone-dipendente nel videoclip di Moby “Are you lost in the world like me?”

https://m.youtube.com/watch?v=VASywEuqFd8

 

 

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