Due luoghi difficili, di desolazione, di solitudine, di disperazione.
A due passi la nuova scintillante via Argiro, la vetusta e nobile via Sparano.
Mentre si passeggia, si consuma, si fa shopping, in Piazza Umberto gruppi di comunità straniere chiacchierano tra loro, una città nella città, una città altra a due passi dall’altra città. Presenze che, se incrociate, disturbano.
In Piazza Moro tre nigeriani ammazzano di botte una loro giovane connazionale. Non voleva più fare la prostituta.
Violenze che in altre città si consumano in periferia qui si mostrano in pieno centro.
Come dire, qui a voler fare finta di niente è proprio complicato: tutto accade nel cuore della città.
C’era da illudersi che la campagna elettorale, quella che serve per mettere a nudo i problemi e le potenzialità di una comunità, potesse servire per fermarsi a guardarsi nello specchio.
Non pare sia così.
La nostra comoda doppiezza, qui le scintillanti vetrine e a due passi la desolazione, continua ad ingrassarsi di ipocrisia.
Le bravi badanti georgiane quando ci servono hanno cura delle nostre madri, quando sono in Piazza Umberto sono corpi estranei, le ragazze nigeriane quando ci capita di frequentarle come clienti le apprezziamo, quando vengono picchiate sotto i nostri occhi è merce che non ci appartiene.
Poi, come d’incanto, è stato sufficiente che per un giorno un gruppo di professioniste (architette, artiste, designer) si inventassero un piccolo arredo urbano in Piazza Umberto con tavoli da gioco, pizzi e cuscini distribuiti nei giardini, giochi per i più piccoli e le due città si sono incontrate.
E allora si apre una piccola speranza. Dura solo un giorno, i candidati sindaci non hanno trovato il tempo di passare a vedere. C’è solo da augurarsi che qualcuno gli abbia riferito che si può far parlare tra loro le due città, che un giorno di festa può riempire il calendario di tutto l’anno.
Un grazie di cuore a quelle giovani professioniste, per un giorno ci siamo sentiti meno ipocriti.
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