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Con sentenza del 24 marzo, n. 13604, la Corte di Cassazione ha stabilito che la pubblicazione e diffusione su Facebook di contenuti che offendono l’onore, la reputazione e il decoro di un utente integrano responsabilità da fatto illecito, da cui deriva l’obbligo di risarcimento economico del conseguente danno morale. Ma soprattutto, la novità della sentenza è aver anche sancito che non è necessario indicare nome e cognome della persona a cui è rivolta un’allusione offensiva: se la “vittima” è facilmente individuabile e la frase incriminata è postata sul proprio o l’altrui stato di Facebook o in commento a qualche altro post, scatta ugualmente il reato di diffamazione. Screditare le persone su Facebook, anche senza indicare il nome, può comportare il rischio di una querela se si capisce chiaramente di chi si parla: la semplice allusione, infatti, può integrare il reato. È bene consigliare la massima prudenza: se, infatti, il riferimento alla vittima contenuto nel post diffamatorio non dovesse essere chiaro e immediato, si può passare dalla ragione al torto e rischi apre una controquerela per calunnia. Fino ad oggi vi era stata una sentenza del Tribunale di Monza (n.770/2010) che aveva affermato, sostanzialmente, lo stesso principio.
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