Quando la fotografia ancora non c’era, Caravaggio era l’artista che più si avvicinava a quel mondo dell’istantanea che sarà scoperto nel 1839.
250 anni prima del celeberrimo fotografo Robert Capa, Caravaggio aveva dipinto uomini in perfetta somiglianza al mondo reale.
Vittorio Sgarbi esalta le doti del pittore Michelangelo Merisi (questo il suo vero nome) nel libro “Il punto di vista del cavallo” (edito da Bompiani) e di cui ha parlato in un incontro della fondazione Tatarella a Bari.
Dissacrante come sempre. Ironico e sagace oratore, Sgarbi riesce ogni volta a discettare di arte senza mettere mai il pubblico nelle condizioni di estraniarsi da una lezione.
“Caravaggio – afferma Sgarbi – è capace di vedere le cose senza filtri. Ha l’intuizione della fotografia. Guarda le cose e le riproduce come sono, senza alterazioni e abbellimenti”.
Vittorio Sgarbi, dunque, introduce il lettore ad un’idea di un artista, Caravaggio, appunto, che si serve della sua arte per mostrare le cose così come sono e non come dovrebbero essere.
Un punto di vista, questo, che differenzia Caravaggio dagli altri pittori del Seicento e che lo confina tra quegli artisti moralmente discutibili.
Da qui il parallelismo con un altro artista discusso: Pier Paolo Pasolini, non un contemporaneo di Caravaggio, ma un suo erede in molti sensi.
“Pasolini – spiega Sgarbi – è lo specchio più vivido dell’esperienza caravaggesca”.
“Una reincarnazione e di Caravaggio”, si spinge a dire nel libro il critico d’arte.
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