12 Maggio 2025 - Ore
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Ma io non sono un plico!

"I sostantivi riflettono la tendenza alla classificazione"

Sono sempre stata affascinata dall’uso del linguaggio e dagli studi di linguistica, dagli aspetti intrinsechi della comunicazione e dalla scrittura in generale (non è un caso evidentemente che abbia scelto di laurearmi in Lingue Straniere, che sia una scrittrice e che faccia l’insegnante). Così, mi sono, di recente, imbattuta in un libro piuttosto corposo e dal titolo intrigante: The secret life of pronouns: what our words say about us del linguista e psicologo James W. Pennebaker, attualmente presidente del dipartimento di Psicologia dell’Università del Texas, nonché psicologo sociale di fama internazionale e pioniere nell’ambito della scrittura terapeutica (writing therapy).
Lui e il suo gruppo di linguisti computazionali, hanno condotto una serie d’indagini analizzando una mole enorme di documenti che vanno dalle mail, ai testi di ammissione all’università, alle canzoni di famose pop star, ai discorsi dei politici e perfino a romanzi celebri, per dimostrare come l’uso, non tanto dei verbi e dei sostantivi, quanto piuttosto delle parole minime, in altre parole pronomi, preposizioni, articoli e prefissi, rivelino tantissimo di noi e delle nostre emozioni e sentimenti.
Le loro ricerche hanno dimostrato un totale scardinamento dei luoghi comuni, secondo cui, chi fa un uso frequente del pronome ‘io’ risulterebbe essere una persona particolarmente egocentrica e sicura di sé. Tra i testi setacciati, che comprendevano anche twitt di personaggi noti, mail di militari, chat online e conversazioni informali, non mancano i carteggi letterari di scrittori eccellenti quali Ted Hughes e Sylvia Plath, o Elisabeth Barret e Robert Browning, per citare solo alcune delle tante coppie letterarie più note. E dunque il risultato di tutta quest’ affascinante ricerca è che, in una relazione gerarchica, è proprio la persona più in basso a usare più spesso il pronome ‘io’, perché -spiega il Dr. Pennebaker- la persona di status più elevato, di fatto, guarda al resto del mondo, mentre quella di rango inferiore si rivolge a se stessa.
Interessante notare, a questo punto, come all’università abbiano più successo gli studenti che negli esami di ammissione hanno usato più sostantivi che verbi e pronomi; questo perché i sostantivi riflettono la tendenza alla classificazione, mentre i verbi e pronomi vengono privilegiati per i racconti e le descrizioni. L’università premia dunque più i classificatori che i narratori!
Calando la sonda più in profondità, a livello di differenza di genere, emerge per esempio, che sono le donne a usare più spesso il pronome ‘io’, insieme con una serie di altre parole più inclusive e sociali legate alla sfera cognitiva.
Il New York Times si è talmente entusiasmato nei confronti di tutte queste scoperte da aver deciso di utilizzare questa indagine in politica. Considerato che, dallo studio di Pennebaker risulta che, le persone che utilizzano più spesso la parola ‘io’ sono più oneste rispetto a chi lo usa meno frequentemente (in quanto a livello inconscio abbracciano la responsabilità di quello che stanno dicendo), potrebbe servire anche a noi comuni mortali porre più attenzione alla ricorrenza di certi pronomi nelle dichiarazioni, ad esempio, dei nostri politici…!
Di fatto, per quanto mi riguarda, recentemente, proprio l’8 marzo al Comune, mi sono trovata ad ascoltare parecchi discorsi pubblici, alcuni più propositivi, altri meno promettenti, dei nostri candidati sindaco e sindaca che presentavano il proprio programma, più alcuni esponenti di spicco della politica locale che sono stati salutati dalla cittadinanza e invitati a prendere parola. In quell’occasione mi è tornato in mente il libro di Pennebaker che avevo appena terminato di leggere e, quasi per gioco, ho provato a misurare a mia volta l’uso dei pronomi utilizzato dai miei interlocutori. Tuttavia, nel corso degli enunciati, ho perso di vista i pronomi (e spero Pannebaker non me ne vorrà) perché, via via sono rimasta sempre più colpita dalla disinvoltura con cui uno di loro, in relazione alle quote rosa e alla presenza di noi donne in certi ambiti, si adoperava nell’uso reiterato di frasi del tipo “L’ho messa in quell’ufficio, l’ho messa in questa azienda … l’ho portata nella lista”: una serie di locuzioni insomma, infilate come vagoni di un trenino in corsa su un binario che mi faceva perdere sempre più di vista i pronomi di cui sopra, ma mi portava di contro sempre più a percepire l’identità femminile come quella di un PLICO, un pacchetto postale da sistemare in qualche dove insomma, piuttosto che come quella di una persona di valore, che ha autonomamente raggiunto dei traguardi grazie a meriti soggettivi.
La mia percezione del messaggio, lo confesso, non sarebbe cambiata di molto se l’interlocutore in questione avesse usato il pronome ‘io’ più o meno diffusamente, quello che resta è piuttosto l’amara consapevolezza di quanto ci sia ancora da lavorare sul linguaggio, di quanto insomma un certo maschilismo coatto trapeli sovente nella comunicazione quotidiana in maniera massiccia e puntuale. Il maschilismo infatti, non va rintracciato solo negli eclatanti e drammatici casi di cronaca quanto anche nel quotidiano, nella dimensione in cui non possiamo esimerci dalle nostre responsabilità, e il linguaggio ne è un esempio.
Estinguere il maschilismo dal linguaggio equivarrebbe ad annullarlo nella nostra concezione culturale della donna o, se non altro, a infliggergli un colpo potente.
E’ il linguaggio, infatti, a dare forma al pensiero, non quella che il linguista De Saussure chiama langue, cioè la lingua ufficiale istituzionalizzata nei dizionari, ma proprio la parole, cioè il linguaggio comunemente usato nel quotidiano: la lingua parlata.
Insomma, per concludere, senza nulla togliere al valore del recente testo di Pennebaker, credo che scriverò una mail, per suggerirgli di avviare un nuovo studio di linguistica sui cliché di genere nella comunicazione di ogni giorno. Credo davvero che sortirebbe risultati ben più interessanti di quelli del suo ultimo lavoro.

Soundtrack consigliato:
‘Me and Myself’ Sushy
‘You and I’ Chrystal Fighter
‘Little talks’ Of Monsters and Men

Letture consigliate:
‘Traslochi’ di Andrea Canobbio

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