È finita agli arresti domiciliari anche una settima persona coinvolta nella storia del commerciante di Adelfia, costretto a pagare tre volte il pizzo a favore di tre diversi individui vicini al clan Di Cosola, detenuti in carcere.
Agli inizi del mese di novembre i Carabinieri di Triggiano, coordinati dalla Direzione Distrettuale Antimafia di Bari, diedero esecuzione ad un’ ordinanza di custodia cautelare in carcere emessa dal GIP del Tribunale di Bari nei confronti di sei persone, componenti di due famiglie baresi e legate ai DI Cosola. Per loro le accuse furono di estorsione continuata in concorso, aggravata dal metodo mafioso.
L’altra mattina, invece, militari dello stesso Comando hanno eseguito unordinanza di permanenza in casa emessa dal GIP del Tribunale per i Minorenni di Bari nei confronti di un 19enne residente a Noicattaro, minore all’epoca dei fatti, per concorso nelle medesime accuse.
Le indagini dei carabinieri, coordinate sin da subito dalla D.D.A. barese, partirono da un grave attentato dinamitardo che lo scorso aprile subì il titolare di un esercizio commerciale di Adelfia, già vittima qualche mese prima di un incendio che aveva parzialmente danneggiato l’esterno del locale. L’esplosione danneggiò gravemente l’ingresso dell’ esercizio commerciale e due autovetture parcheggiate, frantumando altresì i vetri delle vicine abitazioni.
Si acclarò, pertanto, come la vittima avesse iniziato a pagare il pizzo di 500 euro al mese circa cinque anni fa, a favore dei familiari di un primo detenuto e poi, all’inizio del 2013, per divergenze interne al clan, arrivò l’ordine di pagare ai familiari di altri due detenuti. Il nuovo ordine, evidentemente, non piacque alla famiglia del primo detenuto e lo sgarro venne punito con la bomba dell’aprile scorso. Il commerciante, terrorizzato, decise così di pagare il pizzo a tutti e tre per evitare il peggio, arrivando a sborsare fino ad 800 euro mensili, fino a quando, esasperato e sull’orlo del fallimento, decise di collaborare con i carabinieri, che spezzarono questa catena perversa. Furono pertanto ricostruiti anche i flussi finanziari del denaro che, riscosso da due donne, ai domiciliari con l’operazione dello scorso novembre, finiva ai detenuti attraverso vaglia postali.
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