16 Ottobre 2024 - Ore
Politica

Beppe Lopez intervistato da Stornaiolo – IL DIALOGO DEL LUNEDI’ (dialogo 13)

TORNA LA POLITICA ITALIANA, FRA EMERGENZE, RITARDI E PERSONALISMI

Nel bene o nel male, caro il mio mentore, si finisce sempre a parlare di Politica. Comincerei, se non ti sfastidia, con la querelle del salario minimo europeo. What do you think about it?

Si temeva che la crisi da Covid e ora la crisi da guerra russa contro l’Ucraina avrebbero accentuato – a livello globale e a livello di ogni singola economia e nazione – le disuguaglianze sociali, settoriali e territoriali. In realtà, per alcuni paesi come l’Italia, si è trattato e si tratta dell’accelerazione di un fenomeno preesistente. Non a caso, proprio una decina di giorni fa l’Ocse ci ha fatto sapere che negli ultimi trent’anni l’Italia è stato l’unico paese in cui i salari annuali medi sono diminuiti, precisamente del 2,9%. Ti rendi conto? In trent’anni non solo non sono cresciuti, per adeguarsi almeno al costo della vita, ma addirittura sono diminuiti. Passano pochi giorni, ed ecco la notizia dell’accordo fra governi e parlamento europeo per l’introduzione del salario minimo garantito in tutta la Ue, con questa postilla informativa: l’smg esiste già in 21 paesi dell’Ue e la sua entità va dai 332 euro della Bulgaria ai 2.256 euro del Lussemburgo. L’Italia naturalmente fa parte dei sei paesi dove il smg non c’è, insieme ad Austria, Svezia, Danimarca, Finlandia e Cipro. E proprio mentre parliamo, la Germania ne ha deciso l’aumento, da 9,82 a 10,45 euro l’ora il primo di luglio, e da 10,45 euro a 12 euro a partire dal primo ottobre. E l’Italia sta a guardare…

 

Come te lo spieghi? Proprio l’Italia che aveva la fama di un paese molto sindacalizzato, con una sinistra di lotta e di governo…

Quella fama non era usurpata. Tra gli anni Sessanta e Settanta era all’avanguardia per quello che riguarda l’ascesa sociale e i diritti dei lavoratori. Basti ricordare solo l’avanzato Statuto dei Lavoratori del 1970.  Ma tutto questo si riferisce a un’Italia praticamente scomparsa alla fine degli anni Settanta. Per me lo spartiacque della storia nazionale, lo sai, è la fine della fase di democratizzazione/modernizzazione brutalmente imposta al paese con l’assassinio di Moro e la cancellazione della costruzione di una democrazia compiuta avviata da Moro e Berlinguer. Non mi meraviglio che negli ultimi trent’anni i salari in Italia siano diminuiti del 2,9%, mentre in Svezia i salari siano cresciuti del 63%, in Danimarca del 39%, in Germania 33%, in Finlandia del 32%, in Francia del 31%, in Belgio e in Austria del 25%, in Portogallo del 14 e in Spagna del 6%. Un dato che dice ancora poco, peraltro, rispetto alla dilagante disoccupazione, alla ripresa della emigrazione dal Sud e naturalmente al blocco di quell’ascensore sociale prodotto e produttore del miracolo economico italiano. Anche l’Italia di questi anni, dilaniata dalla crisi del sistema politico, anzi dalla scomparsa della politica e scompaginata da individualismi, uomini soli al comando e populismi vari, appare incapace di reagire, di riprendere in una qualche maniera il virtuoso cammino di un’autentica rappresentanza e della efficace tutela degli interessi del popolo al vertice delle istituzioni.

 

Come un paese “incapace di reagire” potrà ritrovare e praticare questo virtuoso cammino?

Sai come la penso: il meglio di quanto è avvenuto in Italia – dagli anni Ottanta ad oggi – lo dobbiamo sostanzialmente alle ricadute positive di fenomeni non autoctoni ma sovranazionali come appunto la globalizzazione, la Rete, il mercato dei consumi e della cultura internazionale, la televisione, lo strepitoso sviluppo delle telecomunicazioni e appunto la pur lenta, ma decisiva costruzione dell’Ue. Come è avvenuto nella risposta al Covid, come sta avvenendo (anche se ancora in parte) con la risposta alle conseguenze della guerra sferrata dalla Russia all’Ucraina e come sta avvenendo anche per il salario minimo garantito. Per il quale, sia chiaro, c’è ancora un po’ di strada da fare: dovrà esserci una votazione formale del Consiglio e del Parlamento europeo, bisognerà aspettare i due anni che hanno a disposizione gli Stati per recepire la direttiva nel diritto nazionale, dovranno essere coinvolte le parti sociali, bisognerà trovare un virtuoso intreccio con i contratti nazionali… Ma per le cose, come diceva Moro, ci vuole il tempo che ci vuole. Quello che è certo è: meno male che l’Ue c’è.

 

E intanto la guerra continua senza tregue. Ci voleva provare Salvini a farla finire. Voleva addirittura andare a Mosca. Poi non se n’è fatto più niente. Come mai?

Aveva sottovalutato la complessità anche formale dell’atto che voleva compiere, in un contesto segnato da tragedie, devastazioni ed epocali problematiche geopolitiche. Ma soprattutto lo hanno fermato i suoi, leghisti con il cervello in zucca e l’interesse a governare a Roma e nelle regioni. Io credo che Salvini ritenga di poter riempire il vuoto che lo separa dalla realtà agitandosi perennemente, facendo quotidianamente casino. Un’ammuina h24 che in qualche momento gli ha fruttato simpatie ma che, per definizione, porta alla rovina chi non è capace, ad un certo punto, di affrancarsene e passare a comportamenti politicamente più avveduti e affidabili.

 

Il suo leader speculare, Giuseppe Conte, intanto cerca di tenere a bada quel che è rimasto dei pentastellati. Ci riuscirà? 

Questa è la terza fase della breve vita politica di Conte. Durante la prima, da presidente del Consiglio di un governo Lega-M5S, dominata da Salvini, ha dato il peggio di sé: si comportava da suddito dell’aggressivo leghista, senza dignità e senza onore. Nella seconda fase, da presidente del Consiglio di un governo M5S-Pd- LeU-Italia Viva, è riuscito a dare il meglio di sé, almeno per compostezza e sobrietà, dando fondo alla sua cultura formale avvocatesca. Tanto da acquisire un gradimento di opinione pubblica stratosferico e da essere addirittura accredidato come leader del centrosinistra. Ora appare inadeguato e frustrato di fonte ad un Movimento frantumato, continuamente bloccato da questioni legali e formali – molte delle quali ancora aperte – con un Di Maio ormai maturo e in netto contrasto con le sue posizioni. Non vorrei essere nei suoi panni.

 

Come la vedi un’alleanza progressista dei Cinquestelle con Pd e Bersani?

Sia Conte sia Di Maio sia lo stesso Grillo possono coalizzarsi con il Pd e Leu. Non ci vedo contraddizioni insuperabili. L’alleanza progressista è nella logica delle cose. Per quello che riguarda il suo esito elettorale, bisogna vedere cosa succede al centro (e delle formazioni di Calenda e di Renzi) e anche ovviamente nel centrodestra, dato per vincente ma attraversato da rivalità e contrasti. Su tutto farà premio, poi, una eventuale riforma del sistema elettorale. Se si dovesse competere con regole maggioritarie, che impongono ai partiti di presentarsi alleati alle urne, credo che M5S, Pd e Leu rischierebbero di perdere molti voti nei rispettivi bacini elettorali. Se invece venissero introdotte regole proporzionali e ai singoli partiti convenisse andare separati alle urne, M5S, Pd e Leu potrebbero acquisire rispettivamente più voti. E magari vincere, chi lo sa?

 

E Berlusconi che, nonostante l’età, non molla, fesso è? Sarà mica che non crede a Tajani e compagnia cantante?

Io non escludo che in Forza Italia possa succedere, a questo punto, qualcosa di traumatico. A parte i riflessi della tensione competitiva fra Salvini e Meloni – con il primo decisamente orientato a sfruttare, si vedrà poi come, i voti del Cavaliere per non soccombere di fronte alla maggiore quantità di voti accreditata a Fratelli d’Italia – Berlusconi dà l’impressione di aver perso il nerbo, il carisma e la centralità di una volta, e di voler vivere, tutto sommato, un tranquillo tramonto. Ma tutto congiura contro questo suo desiderio: sia la lotta Salvini-Meloni, appunto, sia la maggiore età politica raggiunta, ormai anche polemicamente, da Carfagna, Gelmini e Brunetta.

 

Ma allora, alla fin fine, davvero la Meloni nel centrodestra è la più centrata sull’obiettivo? Sii sincero, mentore, anche a te non dispiace la sua strategia…            

Sinora Meloni ha oggettivamente goduto, oltre che delle clamorose gaffes e della indiscutibile inadeguatezza di Salvini, del fatto di essere l’unica opposizione. Ovviamente è sempre più difficile acquisire voti governando – specie in questa fase così tormentata e con una maggioranza così eterogenea e divisa – che acquisire voti criticando quelli che governano. Ma di qui alle elezioni, avverranno ancora cose che potrebbero cambiare le carte in tavola e le stesse tendenze rilevate dai sondaggi elettorali. Comunque Meloni deve ancora fare i conti con la propria contraddizione di fondo: l’aspirazione ad essere considerata una destra moderna e affidabile, ostinandosi a conservare le proprie radici neofasciste e le proprie imbarazzanti alleanze sovranazionali. Non solo perché molti neofascisti militano e votano FdI. Il simbolo stesso dei Fratelli d’Italia tuttora svela e conferma spudoratamente il legame con il fascismo. La fiamma tricolore, la stessa del Movimento Sociale di Almirante, nasce tradizionalmente da un trapezio che rappresenterebbe la tomba di Mussolini. Ora, finché sei la sola opposizione al regime, nessuno ti rompe le scatole. Ma se Meloni aspira o è vicina a un risultato elettorale che potrebbe portarla addirittura a guidare il governo, quei nodi – e che nodi! – dovrà scioglierli, probabilmente scontentando e disorientando una parte consistente della sua più consolidata base di consensi. Anche perché siamo un Paese il cui sviluppo e la cui sorte sono strettamente intrecciati alla Ue e alle sue dinamiche interne.

 

Poi ci sono Calenda che mira a fare l’ago della bilancia e Renzi che mira a… colpire un avversario perché è nella disputa che si vede l’ardor…

Calenda, Renzi, Carfagna, Gelmini, Brunetta… Qui siamo in piena area-Draghi, con molti distinguo in particolare da parte di Calenda, specie nei confronti dell’affidabilità di Renzi. Ci sarebbero i margini per creare un’offerta politica liberal-democratica, se non intorno al presidente del Consiglio, intorno alla sua politica e ad una sua ricandidatura al vertice dello Stato. Nei prossimi mesi potrebbe nascere qualcosa di serio, se non trionferanno personalismi e velleità egemoniche. L’area è quella. C’è una prima domanda da porsi: riusciranno i due galletti Calenda e Renzi a lavorare insieme? Seconda domanda: cosa farà Draghi, il giorno successivo all’esito elettorale? Dirà, potrà dire, signori e signori, vi saluto, il mio compito è terminato? Oppure qualcuno e/o qualcosa potrà trattenerlo in area-Chigi se non in area-Quirinale?

 

Quirinaleee?

Sì, Quirinale. E ho detto tutto…




BEPPE LOPEZ, classe 1947, è nato a Bari, nel quartiere Libertà. Da giornalista, direttore di giornali e di agenzia e saggista, si è occupato per oltre mezzo secolo di politica interna, di giornali locali e di analisi e critica dell’informazione. Ha collaborato con le più importanti testate nazionali. Ha partecipato come cronista politico alla fondazione del quotidiano la Repubblica. Ha fondato e diretto quotidiani e riviste. Ha diretto la Quotidiani Associati. Ha pubblicato racconti storici e saggi sul giornalismo, ottenendo uno straordinario successo editoriale in particolare con La casta dei giornali (Stampa Alternativa 2007). Di notevole rilievo per la cultura e la musica popolare italiana la sua biografia di Matteo Salvatore, L’ultimo cantastorie (Aliberti 2018).

Ha esordito come narratore con Capatosta (Mondadori 2000), divenuto subito un importante caso letterario, proseguendo con Mascherata reale (Besa 2004), La scordanza (Marsilio 2008) e La Bestia! (Manni 2015). 

Sono appena arrivati in libreria il suo ultimo romanzo, Capibranco e la trilogia Quartiere Libertà, contenente i suoi tre romanzi ambientati in questo quartiere popolare di Bari (Capatosta, La scordanza e Capibranco), che raccontano, con un vivace “idioletto” conformato su italiano e materiale dialettale barese, un secolo di vita nazionale e un quartiere simbolico dell’intera umanità.

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