9 Febbraio 2025 - Ore
Cultura e Spettacolo

L’amore che ci cambia

Un estratto del racconto di Daniela Baldassarra. La riflessione è su malattia e amore

(…)

Amata figlia mia, nonna ha l’alzheimer.

Te la ricordi la nonna? Non credo, sei andata via da così tanto tempo…hai la tua vita ormai…come si dice…sei diventata grande…Sembra che tu non abbia più bisogno di una madre, figuriamoci di una nonna.

Sta male, però, tanto male. E sto male anch’io. Contro ogni previsione.

Ho tanto mal sopportato, negli anni, questa madre, così superficiale, ingiusta, perfida, a volte, ed invece ora darei il mio sangue, ogni goccia, per non vedere quei suoi occhi così inconsapevoli, così sperduti, spaventati. Non riconosce quasi più nessuno, non distingue più neanche il bene dal male, già quando le funzionavano tutte le rotelle faceva fatica a farlo.

È tornata bambina, come non l’avevo mai vista, e non cerca più obbedienza, come una volta, ma una guida, una mano nel buio che il mondo ora rappresenta per lei. È così fragile, indifesa…

Sai, non capisce più i soldi, e glieli hanno tolti…Lei, che andava sempre in giro per i negozi col borsello sotto il braccio, che si gestiva egregiamente la sua centomilalire a settimana per la spesa, per le medicine, per le bollette, per i nostri quaderni, e a volte ci saltava fuori anche una capatina dal parrucchiere, ora, quando mi vede, senza capire forse, o forse sì, si rigira le tasche, per mostrarmi la sua povertà. È il suo disappunto, la sua ribellione.

Non vuole più lavarsi, non vuole più cambiarsi. Ma ti ricordi le fissazioni che aveva? Sempre attenta ai suoi vestiti, ai bottoni, agli orecchini, alle saponette profumate allineate sul bordo della vasca da bagno. Non esiste più niente di tutto ciò, niente.  Adesso ci sono solo maglie scucite e un bagno quasi sempre sporco.

Non so se te l’ho raccontato, ma faccio assistenza a due vecchiette. Non stanno bene neanche loro. Ma è diverso.

A loro le pettino, le aiuto a sollevarsi dalla sedia…Mi fanno tenerezza, mi fanno anche sorridere a volte.

Alla nonna, invece, faccio dei lunghi massaggi…alle spalle, che le fanno sempre male, alle braccia che non riesce quasi più ad alzare, alle gambe che la reggono a fatica. E mentre la massaggio, penso di farlo con dolcezza, con cura, e invece le mie mani, piano piano, diventano severe sulle sue carni, quasi come se volessi farle male per vederla reagire anche solo con un semplice “Ahi!” al dolore, o quasi come volessi che si sbriciolasse sotto le mie mani, per non vederla più con quei maledetti occhi semichiusi sul mondo.

Almeno l’ammazzo io, con amore, ma l’alzheimer no. Lui è cattivo.

E com’è cattiva la vita, amore mio, e come sono stata stupida io, e come è stata stupida lei, a non perdonare, a non tollerare, a non ridere. Sì, ridere…ridere…

Per anni non l’ho degnata di uno sguardo, avevo il mio motto, cioè che la vita era mia e lei non c’entrava, anzi che non mi serviva a niente, che potevano andare a farsi fottere , lei e mia sorella che era la sua preferita, il suo unico prodotto ben riuscito… e invece ora…ora mi ritrovo a cercarla, a difenderla anche da chi la considera già morta, a tentare, inutilmente, di stimolare i suoi sensi, la sua memoria, senza criterio, senza conoscere davvero la sua malattia, rozzamente, in modo aggressivo, con rabbia, con tutto l’amore che avevo sepolto e che ora è venuto fuori dalle macerie con una forza che io a stento gestisco, grande, grande, più grande del mio cuore.

Nella lotta impari contro questo dolore, ho ritrovato il mio voler essere figlia, l’assurdo desiderio di voler rientrare nella nudità di mia madre, per essere di nuovo nulla, poi feto, poi cuore che batte, e azzerare così il tempo, il nostro tempo infame, che ci governa, che ci fa ammalare, che ci fa morire. Senza neanche chiederci se abbiamo fatto tutto, se ci siamo amati abbastanza, se ci siamo abbracciati tanto, ma tanto, fino al punto da poter affrontare il buio eterno col calore dell’altro tra le braccia, e nell’anima.

E come se non bastasse, insieme all’amore per la mia mamma, bussa forte anche l’amore per te. Prima stava lì, buono, silenzioso, discreto, ora fa un casino che non ti dico. Mi grida: “Ehilà! Ma questa figlia tua dove si è cacciata? Che ci fa lontana da te? Il suo posto è qui, vai a riprendertela”. E quando mi parla così, sento forte la tua mancanza, il vuoto del tuo disordine, il grigiore dei nostri silenzi, dei nostri rancori, la stupidità delle nostre battaglie.

E ti vorrei di nuovo qui con me, ora che ancora riconoscerei al buio ogni tuo frammento di pelle, ogni tuo tremore, il profumo dei tuoi capelli…

Non ti dico che sarei più paziente, più comprensiva, più dolce, forse ti sembrerò quella di sempre, che sempre ti dirà che ti vesti male, che sei immatura, e anche un po’ svampita a volte, ma se mi guarderai negli occhi, senza fretta, senza volere tutto e subito, in fondo in fondo, giù dove la vita si sveglia ogni mattina, scoprirai tutto l’amore che senza darmi scelta, prepotentemente, mi sbatte contro di te.

Torna, se vuoi.

La tua mamma.

(…)

 

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