Dopo la protesta delle mamme dei bimbi che frequentano l’asilo davanti alla tendopoli prevista a Bari nel quartiere Libertà (dove-tengo a sottolineare- io vivo!), arrivano proteste anche da parte delle studentesse di una scuola superiore appartenente al quartiere, perché anch’esse si sentono minacciate dalla presenza dei 200 immigrati, salvati grazie all’operazione Mare Nostrum, che nella tendopoli potranno trovare dimora provvisoria. La notizia viene accolta con un tale senso (immotivato) del PERICOLO, da portare la gente del posto a chiedere che venga innalzato un muro a separazione degli immigrati dal resto della cittadinanza. Certo ci sarebbe tanto da raccontare sulle paure del quartiere Libertà, un quartiere in cui, se un barbone si riposa sulla panchina di Piazza Garibaldi rischia di morire tra le fiamme, perché una banda di sbarbatelli prova a dargli fuoco; un quartiere dove se un albanese (dunque attenzione, proprio uno straniero!)prova a sedare una rissa tra ragazzini, viene inseguito e sparato; un quartiere dove disseminate ovunque si trovano pseudo circoli ricreativi che altro non sono che bische clandestine o comunque presìdi malavitosi; un quartiere dove ogni scarcerazione viene festeggiata con sonori fuochi d’artificio imposti a tutte le ore e a scopo intimidatorio per gli abitanti del circondario, mentre invece, allo stesso tempo, un immigrato resta fuori ad un supermercato pronto a darti una mano con le buste della spesa in cambio di qualche centesimo, e ti saluta con la sua ghiera splendente di denti bianchi, in un sorriso denso di gratitudine per quel poco che semplicemente chiede: la nuda vita, niente di più e forse almeno un po’ di dignità e di giustizia. Allora c’è che fa veramente specie che ci si debba integrare quotidianamente ad una serie di delinquenti mafiosi che percorrono liberamente le nostre strade e che ci si debba scandalizzare invece, fino a protestare e chiedere l’innalzamento di un muro, solo perché, all’interno di una vecchia fabbrica dismessa, in un’area limitrofa di un nostro quartiere, si sta preparando una tendopoli in cui far dormire 200 migranti, che minaccerebbero- a quanto pare!- l’incolumità dei nostri bambini e dei nostri figli. Queste sono notizie che fanno rabbrividire, sono il frutto del pregiudizio serpeggiante che dilaga nella nostra città (e non solo nei confronti dei nostri immigrati), che si annida nelle case, nella scuola (che ahimè dovrebbe invece educare all’accoglienza e all’incontro), negli spazi pubblici e privati, nelle teste della gente che avverte come pericolo tutto ciò che è relativo al diverso da sé e dunque all’idea dell’ ’altro’, per cui tutto ciò che è altro o diverso dalla propria immagine diventa icona del male, segnale di pericolo, tanto da spingersi all’urgenza di costruire barriere per separarsi, per proteggersi. La costruzione dei muri (ricorre in questi giorni l’anniversario della caduta di uno dei muri più storici e simbolici che conosciamo, il Muro di Berlino) ha sempre cementato la distanza. I muri creano separazioni, non solo nello spazio, ma anche nel tempo; non solo nella geografia, ma anche nella storia. Vale forse la pena di ricordare però l’avvertimento di Enzensberger, secondo cui quanto più un paese costruisce barriere per ‘difendere i propri valori’, tanto meno valori avrà da difendere. La verità è che si è ormai giunti a un livello di razzismo tale da far paura, una vera e propria sorta di fondamentalismo che concepisce le culture e gli scambi come entità impermeabili, per cui l’altro è un qualcuno che non può e non deve attraversare il nostro recinto perché altrimenti, se vi entra, se viene in contatto con noi, ci contamina!(e ci mancava pure l’Ebola ad alimentare il rigurgito xenofobo!) James Hillman ha scritto che il male, e quindi i disastri che ne conseguono, nascono dall’incapacità di pensare l’altro, di mettersi nei panni altrui. Se non ne siamo (più) capaci, probabilmente, come indica Rilke in una sua nota poesia (Herbst) stiamo tutti cadendo, e forse la nostra dannazione sarà proprio in questo nostro cadere, sempre più giù, all’infinito.
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