© Riproduzione riservata
Danah Boyd, ricercatrice di Harvard e responsabile di un progetto di ricerca di Microsoft, ha condotto uno studio durato otto anni in 18 stati americani per studiare la vita digitale di migliaia di adolescenti collegati in rete. Li ha frequentati individualmente o in gruppi, li ha incontrati nei licei, nei fast food e negli shopping mail, li ha seguiti attraverso le “tracce” lasciate su Facebook, sui blog e sui social network. La ricercatrice si è fatta interprete, in quanto ha letteralmente “tradotto” i loro bisogni e le loro aspirazioni, confrontandoli con le paure degli adulti. La Boyd ha scoperto che i teenagers di oggi socializzano attraverso Facebook per mancanza di altri spazi di condivisione con i coetanei. Molti adolescenti godono di minor libertà di movimento e di tempo libero, ma hanno più regole dei loro genitori o dei nonni. Ogni generazione di adolescenti ha uno spazio “cool” differente: oggi questo spazio “cool” per frequentare amici si chiama Facebook, Twitter e Instagram. Di contro gli adulti interpretano questi fenomeni deformandoli alla luce delle proprie ossessioni, ricostruzioni distorte del passato, nostalgie e fobie e ricordano la propria infanzia come un luogo più facile, più sicuro e migliore di quanto fosse in realtà. Il bullismo e la pedofilia esistevano anche senza Internet e probabilmente erano molto più feroci perché meno sanzionati. I genitori di oggi sono ansiosi in quanto Facebook e Twitter offrono ai loro figli nuove opportunità di partecipare alla vita pubblica. La ricercatrice scopre ancora che è un luogo comune dire che i ragazzi sottovalutino i pericoli per la loro privacy. Le sue interviste rivelano il profondo equivoco: i teenagers sono preoccupati eccome della loro privacy, anche se la loro gerarchia di timori è ben diversa da quella dei genitori. Il loro timore principale legato alla privacy sono i genitori: infatti la paura di una sorveglianza intrusiva da parte degli adulti spinge i ragazzi a riscoprire tecniche antichissime, linguaggi in codice che usano come messaggi cifrati, la cui decodificazione può essere attuata solo dai coetanei e non dai genitori o dagli insegnanti. Nella Dichiarazione d’Indipendenza del Cyberspazio, John Perry Barlow, “libertario digitale”, sanziona che la generazione dei genitori abbia timori e sospetti, sia terrificata dai propri figli in quanto “nativi digitali” in un mondo dove loro saranno sempre “immigrati digitali” non essendo nati dentro questo universo tecnologico. Sono i genitori a temere i figli e a delegare alle burocrazie le responsabilità che non hanno il coraggio di assumersi.