Caro Maestro, con la scusa che l’abitudine arriva dall’antica Roma, anche quest’anno tutti a godere delle ferie agostane. Tutti, tranne i politici impegnati nella campagna elettorale. Non è che rischiano un colpo di sole? A tanti dispiacerebbe…
La tua domanda mi pare trasudi ironia e non molta considerazione per la nostra classe politica. Del resto tu sei un attore, un attore brillante. Un attore che ha praticato e pratica anche la comicità estrema, col suo compare Emilio Solfrizzi, “alias Toti e Tata – in Il cotto e il crudo”, come ricordano i manifesti che si leggono in questi giorni per le strade di Roma. Quest’anno, in ottobre, avrete l’onore di aprire la stagione dell’Ambra Jovinelli, dove ha lavorato la storia del teatro brillante italiano: Giuseppe Viviani, Ettore Petrolini, Totò… E gli attori comici, fra una risata e l’altra, fanno battute anche pesanti sui politici. Alcuni di loro saranno certamente in platea al vostro spettacolo. E ci sarò anch’io. Per cui, come si dice dalle nostre parti, manteniamoci puliti…
Guarda che non volevo per niente essere pesante. Te lo dico allora senza ironia: per come si sono messe le cose, ritieni che la campagna elettorale estiva metterà a dura prova le virtù e le fragilità della nostra classe politica?
Bisogna dire per onestà che le molte fragilità e le poche virtù del nostro sistema politico – che si riflettono pesantemente, esse senz’altro, sulla tenuta delle istituzioni e in generale sulla vita pubblica in Italia – vanno certamente addebitate in una qualche misura ai singoli, attuali eletti e dirigenti di partito. Ma esse sono figlie ovviamente della storia, remota e prossima, del nostro singolare e anomalo Paese. Ovviamente le anomalie di avant’ieri non giustificano pienamente quelle di ieri né quelle di ieri giustificano quelle di oggi. Ma, per prima cosa, le anomalie sono per definizione prodotte e insieme produttrici di altre anomalie. E, per seconda cosa, l’Italia ne ha accumulate (e per conseguenza continua ad accumularle) come nessun altro paese al mondo…
Facciamo una cosa: cerchiamo per una volta di elencarle queste benedette anomalie…
Guarda che sono tante, rischiamo di finire questa intervista sulla campagna elettorale fra un paio di giorni…
Dài, Maestro, cominciamo l’elenco.
Cominciano dal dato più strutturale dei dati strutturali: una penisola protesa al centro del Mediterraneo, ponte fra Nord e Sud, e fra Est e Ovest.
Niente male. Poi?
L’impero romano.
Poi?
Il centro del cristianesimo e lo Stato vaticano.
Poi?
La lingua letteraria, non di popolo. Letteraria e da scrivere e leggere, come il Latino… Le tre corone: Dante, Petrarca e Boccaccio… Il ritardo della formazione dello stato nazionale. Un ritardo di svariati secoli sia sulla formazione della lingua sia soprattutto sulla consapevolezza dell’identità italiana. Una unità nazionale sancita con atto normativo di una piccola porzione dell’Italia geografica (il Regno di Sardegna) e di una dinastia monarchica di origine e lingua straniera (francese), con una vera e propria guerra di conquista e sottomissione del Sud.
E con tutti quegli stati e staterelli e soprattutto con lo Stato vaticano che peraltro, essendo insediato a Roma, nel centro della penisola, lo ha storicamente diviso almeno in due.
Esempio clamoroso dell’anomalia prodotta da anomalie e produttrice di anomalie.
Procediamo.
Figlie delle anomalie post-unitarie sono la questione meridionale, le grandi emigrazioni, la mafia, il fascismo, la Costituzione “più bella del mondo”, la nazione al confine fra le due parti del mondo controllate dalle due super-potenze Usa e Urss; la grande Dc, il più grande Partito Comunista d’Occidente, la minorità liberal-socialista, la mancanza di alternanza al potere; l’industria di stato e l’industria assistita, il lungo e diffuso “Sessantotto”; il monopolio pubblico televisivo e poi il duopolio, l’inesistenza di un mercato dell’informazione, l’interruzione del processo di democratizzazione e modernizzazione alla fine degli anni Settanta; la corruzione politica, tangentopoli, la casta a egemonia finanziaria, Berlusconi, la Lega Nord, l’Ulivo, il grillismo…
Un bel fardello di anomalie, non c’è che dire. Non ne usciremo mai?
Ne stiamo uscendo, ne stiamo uscendo. In grave ritardo, scompostamente, con spazi sempre più ampi per imbroglioncelli, cialtroni e manipolatori, come sempre succede quando il vecchio muore e il nuovo non è ancora nato, ma ne stiamo inevitabilmente uscendo, grazie agli effetti omologanti (in negativo e in positivo) della diffusa interconnessione, della globalizzazione dell’economia e dei costumi, delle molteplici piattaforme informative e televisive, della rete e dei telefonini, dell’Unione europea…
Torniamo ai nostri politici impegnati nella campagna elettorale.
Anch’essa massicciamente interconnessa: con la guerra in Ucraina, con Macron, con Orbàn, ovviamente con il Pnrr e l’Unione Europea… Sinora, in una maniera o nell’altra, anche nella difficilissima situazione determinatasi a seguito della incapacità di formare una maggioranza politica, del Covid e dell’invasione russa dell’Ucraina – e certamente per vie traverse e, appunto, anomale (si pensi solo al ruolo anomalo di Mattarella e alla figura anomala del super-banchiera Draghi come di capo di un anomalo governo di unità nazionale) – questo Paese e per esso questa criticatissima classe politica ce l’ha fatta. Certo, stavolta siamo di fronte a nuove anomalie: in primis l’ipotesi che a vincere le elezioni sia un centrodestra a trazione destra e che possa assurgere a capo del governo non solo una donna, ma una figlia tenace e volitiva della tradizione missina e almirantiana di questo Paese (detto tra parentesi: tradizione che è sopravvissuta e, diciamo pure, ha vinto rispetto a un figlio più adulto e moderno della stessa tradizione, Gianfranco Fini, che vent’anni fa era riuscito a regolare i conti, sembrava definitivamente, con il fascismo “male assoluto”). Ma credo che anche stavolta si troverà una qualche pur anomala soluzione ai problemi che si porranno nel dopo-elezioni.
La Meloni, se proprio si concederà qualche giorno lontano dai “fornelli” del partito, credo che andrà in giro per le cancellerie europee a convincere i nostri partner che non tutti i suoi comizi a squarciagola sono da prendere sul serio e che, una volta premier, sarà molto, ma molto più tranquilla. Lo sarà veramente? Le sue seconde linee, a cominciare da Guido Crosetto, le stanno già preparando una rilassante camomilla?
Certamente Giorgia Meloni una qualche regolata sembra essersela data. Basti pensare ai rapporti che avrebbe intessuto con Draghi nelle ultime settimane, alla raggiunta chiarezza pro Ucraina della sua posizione sulla invasione da parte della Russia, e a certe dichiarazioni con cui sembra voler ridimensionare e mettere sotto controllo il salvinismo. Ma il personaggio è tosto e, direi, cocciutamente legato alle radici. Non ho mai sentito o letto una sua dichiarazione di netta ripulsa del fascismo: non del nazismo o del nostalgismo, ma del fascismo. Mai. E quella fiammella tricolore almirantiana – storicamente sorgente dalla tomba di Mussolini – è ancora ostinatamente lì, nel simbolo di Fratelli d’Italia. I suoi legami internazionali ed europei, a cominciare da Orbàn e dallo spagnolo Vox, così come tutta la politica di Fratelli d’Italia verso la Ue, credo che rimangano e rimarranno come un macigno sulla strada della reciproca comprensione fra l’eventuale nuova presidente del Consiglio italiana e il resto della classe politica e diplomatica europea. Di Crosetto non parlo, perché non si capisce mai se parla da dirigente o da ex del partito, e se faccia la foglia di fico per il partito nei confronti esterni o dell’esterno nei confronti del partito.
A proposito, a meno di sinistri miracoli, data per scontata la vittoria del centrodestra, sarà veramente Meloni la nuova premier? Non è che i suoi alleati le stanno preparando “er trappolone”?
Se effettivamente il centrodestra vincesse, ne vedremmo delle belle. Ognuna delle sue tre punte avrebbe potere ricattatorio nei confronti delle altre. E i tre hanno tali caratteristiche – pur essendo, anzi proprio perché sono uno diverso dall’altro – da legittimare molti dubbi sulla loro tenuta di governo. Vedremo.
Una nota triste: Giggino Di Maio. Dopo aver detto tutto e il contrario di tutto per farsi perdonare le monellerie commesse come dirigente dei Cinquestelle, dopo essersi proclamato atlantista e draghiano di ferro, dopo aver messo su un partito con Tabacci autocollocandosi fra i progressisti, adesso sembra essere stato messo un po’ ai margini da un Pd che si mostra molto più attento nei confronti di ciò che sta alla sua sinistra e dello scoppiettante Carlo Calenda.
Di Maio è ovviamente indifendibile, sul piano della coerenza e ovviamente delle fesserie dette e fatte in tutti questi anni da “ex-bibitaro”. Ma la sua incomprensibile assunzione a quel livello politico-istituzionale – insieme a molti altri “scappati di casa” – non è merito o colpa sua, ma è tutta colpa di Grillo, ovviamente. Io aggiungerei anche la colpa (e il cinismo) di Draghi nell’accettare, durante le trattative per la formazione del governo, di affidare addirittura la Farnesina a un “politico” della statura di Giggino, reduce da tanta inesperienza e incultura, e da tante defaillances politico-istituzionali. E’ invece merito di Di Maio aver imparato, essersi avvicinato ad esperti del ramo, spostandosi su posizioni politicamente sempre più dignitose e ortodosse. Sino all’ultima mossa “draghiana”, direi anche ingenua e generosa, che lo ha visto esposto – pur avendo portato in area “politicamente corretta” 60 deputati e 11 senatori – ad un rango minore o a una grande fregatura. Tutto il contrario del trattamento che il Pd ha riservato, per esempio, a Carlo Calenda, er mejo figo del bigoncio, bravissimo a vendersi mediaticamente e a farsi sopravvalutare dal segretario di turno del Pd, prima Zingaretti e ora Letta.
Ora questa storiella sembra finita: Calenda si è rimangiato l’accordo col Pd, decidendo di correre da solo per la creazione di un terzo polo, fra centrodestra e centrosinistra, dopo aver tentato di dettare a Letta gli alleati da accettare e quello da escludere…
La prosopopea, la boria e l’arroganza di Calenda sono decisamente superiori alle sue pur notevoli capacità mediatiche e alle sue virtù di animatore politico. Rischia, sulla distanza, un destino di ridimensionamento analogo a quello vissuto da Renzi, al quale assomiglia molto. Se almeno – guardando le cose dal loro punto di vista e della logica – riuscissero a mettersi d’accordo e a correre insieme per la creazione di quel terzo polo… Staremo a vedere.
Che dici di Letta?
Un perfetto democristiano. Strepitoso per la sua pazienza, per la ricerca ossessiva di elementi unitari in contrapposizione a qualsiasi tendenza di rottura, per la sua tenacia, per la calma… In una situazione come quella italiana – che pullula di imbroglioncelli, cialtroni e manipolatori, di personalità arroganti e aggressivi, di politici tutti tesi al fare e parlare senza senso – le caratteristiche di Enrico Letta sono un raro e prezioso toccasana. E’ da lì, dalla ricerca della comprensione reciproca e della unità, sempre e comunque, che si deve ripartire se si vuole sperare di uscire dal pantano in cui siamo ridotti.
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