Ho molto piacere di segnalare un evento che ho avuto la fortuna di poter seguire qualche giorno fa, in una cornice alquanto ‘insolita’ eppure talmente opportuna, per una performance teatrale. Si tratta di Zero a Zero, questo il titolo dello “sproloquio teatrale” di Daniela Baldassarra, la cui anteprima ha avuto luogo nel Penitenziario di Bari il 1 ottobre 2014. L’evento promosso da Giraffa Onlus e da Donne con la F maiuscola, è stato organizzato in occasione del 25 settembre, Giornata Regionale contro le Solitudini e, grazie alla simpatia e grande professionalità della regista e interprete, ha toccato con maestria, in chiave ironica e nel contempo sensibilmente coraggiosa, temi incredibilmente vicini a ognuna/o di noi. La Baldassarra ha argutamente sintetizzato, in una serie di piccoli gesti quotidiani all’interno delle dinamiche di coppia, il curioso e ineffabile excursus che parte dall’organizzazione del fatidico giorno del matrimonio e attraversa via via le svariate disillusioni che spesso caratterizzano la routine della vita a due, per poi soffermarsi più nello specifico sulla cocente delusione di una lei che sceglie di cimentarsi, malgrado la delusione, nella ricerca di altri uomini ‘ideali’…e ineluttabilmente inesistenti.
Ma entriamo un po’più nello specifico di quella che è stata una vera e proprio esperienza a largo raggio! Esperienza in tutti i sensi, sì: intanto perché non capita tutti i giorni di andare a vedere uno spettacolo teatrale all’interno della Casa Circondariale della propria città, e dunque di condividerne la fruizione con persone che hanno un trascorso molto diverso dal proprio. Persone insomma che sono lì per scontare una pena, per espiare una colpa, uno scivolamento, un reato, un inciampo. Persone, uomini e donne che, durante lo spettacolo, hanno riso divertendosi con noi, hanno gioito e commentato, hanno applaudito, si sono immedesimati/e in tutte le situazioni così intelligentemente e umoristicamente inscenate dalla Baldassare. Già questa comunanza così umana e condivisa del sentire, al di là delle gabbie sociali e psicologiche, dei confini tra un bene/male giudicato o giudicante, sarebbe bastata di suo a fare di questa esperienza un qualcosa di estremamente prezioso in sé. Ma come se non bastasse, a questa va aggiunta la verve istrionica di una attrice/regista preparata e talentuosa, perché generosa è stata la sua performance ed efficace la scelta delle situazioni, tutte permeate sul tema della differenza di genere e dell’interazione tra uomini e donne. Inutile dirlo: la magia del teatro (quando è buon teatro) sa prenderti per mano e trasformare lo iato in un sorriso, le solitudini in condivisione; la Baldassarra fa questo con il suo Zero a Zero, con ironia e acume, senza mai abbassare la guardia sul ragionamento costruttivo rispetto alla differenza di genere e sull’educazione al pensiero della differenza, che è un pensiero che si costruisce sul rispetto, sulla comprensione. La sua performance diviene così atto generativo, spazio di riflessione sull’intersoggettività, che si fa panorama ampio di possibilità e promessa di un’identificazione che non è più condizionamento necessario bensì accettazione della differenza come principio esistenziale. Un’urgenza su cui continuare a ragionare, dove il teatro diventa uno dei tanti strumenti per farlo, ed è, come sempre, ottimo veicolante di messaggi di verità, tanto più in un momento storico così drammatico per noi donne sempre più spesso vittime di violenza e soprusi.
Fondamentale diventa riconoscere in tempo le dinamiche di un maschio che nella coppia si dimostri prevaricatore e aggressivo e di lì prenderne le distanze, nella consapevolezza e serenità di avere intorno una rete solidale e protettiva, pronta a sostenere la donna in difficoltà! Giraffa è parte di questa rete. Insieme a Giraffa devono esistere altri organismi atti a ri-educare gli uomini violenti e a ricreare condizioni di assetto mentale ricalibrate sui valori del rispetto e dell’amore. La Baldassarra chiude il suo spettacolo con un invito, che si fa monito:
“L’AMORE NON DOVREBBE MAI ESSERE QUALCOSA DI COMPLICATO, DOLOROSO O CONTORTO, MA FACILE … SI’, LA PAROLA GIUSTA E’ FACILE. ECCO, SPETTATORE, IMPARA QUESTA PRIMA COSA”.
Queste le battute finali della sua brillante anteprima, questo il seme delle nuove grammatiche che insieme, uomini e donne, dobbiamo costruire per vivere in armonia. E’ necessario amare molto per essere capaci di una tale dialettica. E’ necessario amare abbastanza per generare e non ferire. Amare l’altra/o come un tutto, amarlo nella sua vita senza dare a lei/lui la propria vita e senza negargliela. Rispettarla/o come una fonte scaturita dalla sua alterità.
Pensare questo “Altro”, pensare cioè la differenza e l’alterità, sono le possibilità per il pensare stesso, per il vivere e l’amare. Ciò che urge è un’antropologia fondata non sul conflitto ma sulla costruzione di percorsi rispettosi delle differenze dell’altro e dell’altra e occasioni come ‘Zero a Zero’ tendono a questo: a promuovere una cultura della relazione rispettosa della natura e dunque capace di favorire e incoraggiare l’energia espansiva che caratterizza l’amore nella sua tendenza a dilatarsi dalla dimensione privata a quella pubblica.
Soddisfatta di aver preso parte a questa piacevolissima situazione, aggiungo solo un’ultima osservazione, quasi un post scriptum: Al termine dello spettacolo, prima che andassimo tutti via, un detenuto è intervenuto dal pubblico per ringraziare e dire ad alta voce che, in fondo, gli uomini non sono poi tutti così ‘terribili’. Tornando al suo posto ha incrociato lo sguardo di un’altra detenuta seduta alle mie spalle, ed io ho intravisto qualcosa di speciale in quello sguardo. Uno spettacolo nello spettacolo e una speranza infinita, di riscatto, fuori da ognuna delle nostre personalissime celle, e solitudini.
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