“Sono quasi centomila le donne pugliesi che si sono messe in proprio. Nella nostra regione, si contano 99.121 tra imprenditrici e lavoratrici autonome. Un anno fa erano 90.991. L’incremento è di 8.130 unità, pari all’8,9 per cento. Segno dei tempi che cambiano. Rappresentano il 23,6 per cento del totale delle donne occupate in Puglia (419.530). E’ quanto rileva l’Osservatorio di Confartigianato «Donne-Impresa», rielaborato in chiave regionale dal Centro studi di Confartigianato Imprese Puglia, su dati Istat e Unioncamere.In particolare, sono 15.485 le donne pugliesi che ricoprono cariche nelle imprese artigiane, in flessione dello 0,5 per cento rispetto all’anno prima (erano 15.567). Corrispondono al 4,3 per cento del dato nazionale.
In dettaglio, 6.443 operano nella provincia di Bari (pari al 41,6 del totale regionale), 3.501 in quella di Lecce (22,6 per cento), 2.085 in quella di Foggia (13,5 per cento), 1.819 in quella di Taranto (11,7 per cento) e 1.637 in quella di Brindisi (10,6 per cento).In Puglia, le titolari di azienda (artigiana) sono 9.882, di cui 6.243 operano nel macro-settore dei «Servizi alle persone» (pari al 63,2 per cento del dato complessivo), 2.577 nel «Manifatturiero» (26,1 per cento), 771 nei «Servizi alle imprese» (7,8 per cento), 260 nelle «Costruzioni» (2,6 per cento) e 31 in altri comparti (0,3 per cento).La suddivisione per provincia è riportata nella tabella di sotto.In Italia, le donne che ricoprono cariche imprenditoriali nelle imprese artigiane sono 362.092. L’area geografica dove si riscontra la maggiore presenza di imprenditrici artigiane è il Nord-ovest (31,2 per cento); seguono il Nord-est (25,2), il Mezzogiorno (22,3) e il Centro (21,2).In generale, si contano oltre 1,7 milioni di donne indipendenti, il 18,8 per cento dell’occupazione femminile (più di 9,3 milioni) e, più precisamente, nel Mezzogiorno la quota di lavoro indipendente raggiunge il 22,3 per cento; seguono il Centro (18,9), il Nord-Ovest (17,7) e il Nord-Est (16,7).Guardando al profilo professionale, si nota che oltre i tre quarti (75,2 per cento) delle donne indipendenti è imprenditrice o lavoratrice autonoma. Nello specifico è imprenditrice¹ soltanto il 2,3 per cento delle indipendenti, mentre il 72,8 per cento è costituito da lavoratrici autonome². All’interno di quest’ultima 2 categoria, si distinguono le lavoratrici in proprio³ che rappresentano quasi la metà (48,2 per cento) delle donne indipendenti e le che ne rappresentano circa un quarto (24,7 per cento).Per completare il quadro sul lavoro autonomo si rileva che il 12,7 per cento delle occupate indipendenti è collaboratrice , il 10,9 per cento è coadiuvante familiare* e il restante 1,2% è socia di cooperativa .
«I dati rielaborati dal nostro Centro Studi regionale dimostrano che il numero delle donne pugliesi che scelgono di lavorare come “indipendenti” è in continuoaumento», commenta la presidente di Confartigianato Donne Impresa Puglia, Marici Levi.«Tuttavia – precisa – solo una piccola percentuale avvia un’attività in forma di impresa. Nonostante la presenza di specifici incentivi, la maggior parte delle pugliesi “indipendenti” si concentra nelle categorie del lavoro autonomo, soprattutto nell’area della libera professione.I motivi sottesi a tale fenomeno sono noti: mancano, sia a livello nazionale che locale, gli strumenti che consentano di raggiungere una sostenibile conciliazione dei tempi vita-lavoro. Questo problema, comune a tutte le lavoratrici – spiega la presidente – diventa drammatico per la donna imprenditrice, che non gode neanche delle tutele giustamente riconosciute alle dipendenti. Specie nelle piccole aziende, la figura dell’imprenditore è difficilmente sostituibile e così una gravidanza, la necessità di seguire i figli e la famiglia o quella accudire dei parenti anziani spesso non lasciano altra scelta se non quelladi gettare la spugna. La carenza di servizi per la prima infanzia e per la famiglia, insomma, è solo una parte di un disagio molto più profondo.
Per questo motivo, «Confartigianato Donne Impresa è impegnata nel formulare al Governo proposte fattive, che consentano di ridurre tale disagio. Tra queste, la possibilità di introdurre moratorie sulle contribuzioni aziendali almeno per il periodo di maternità e la previsione di sgravi – conclude – in caso di assunzioni effettuate per coadiuvare l’imprenditrice in periodi di difficoltà».
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