Non passano tre giorni senza che una donna venga uccisa in seguito alle violenze del suo compagno o di un suo ex. Nonostante i dati di una strage, la violenza domestica presenta ancora molti lati oscuri. Esistono però esperienze che possono aiutarci a comprendere i contorni del fenomeno.
A Firenze nel 2009 è nato il primo centro italiano di ascolto uomini maltrattanti (www.centrouominimaltrattanti.org). Il centro ha conseguito risultati positivi, e ha innescato l’apertura di altri centri che collaborano con le ASL, comuni e enti locali.
Si rivolgono ai centri di ascolto uomini violenti inviati dal giudice, ma anche uomini che spontaneamente (circa il 98%) richiedono l’accesso al servizio cercando aiuto per un comportamento che loro stessi considerano deviante. Il 40% di loro, dopo i primi colloqui, non ritorna, ma chi resta interrompe la spirale violenta in tempi brevi e con poche recidive.
Chi sono le vittime? I dati del centro attestano che le donne vittime di violenza sono spesso persone emancipate. Non tutto sembrerebbe spiegato dal modello noto con il nome di ruota del potere e del controllo elaborato da un gruppo di vittime (Progetto Duluth, Minnesota, USA). Tale modello resta un’interpretazione prevalente del fenomeno, senza includerlo interamente. Alcune donne, per esempio, cercano soluzioni con il compagno. Per questo non rientrano nel modello ma meritano comunque un sostegno qualificato.
Chi sono i persecutori? E’ difficile delineare un profilo dell’uomo abusante. Ci sono infatti uomini violenti non soltanto nei confronti della partner. Ci sono tranquilli vicini di casa, uomini al di sopra di ogni sospetto, professionisti di rilievo. Non risulterebbero necessariamente gelosi o colpiti da un delirio di abbandono, né sarebbero necessariamente dipendenti da alcol o droghe.
Un tratto che li accomuna è il fatto di non essere in grado di esprimere adeguatamente la loro emotività, e l’attribuzione di questa disregolazione affettiva ricade sulle incolpevoli compagne. Inoltre sembrerebbero incapaci di gestire la loro frustrazione, avrebbero una limitata consapevolezza affettiva e un insufficiente vocabolario emotivo. Si descrivono spesso come vittime in cerca di un controllo sul loro mondo emotivo e a questo scopo agirebbero in modo violento sulla compagna con una conseguente riduzione della tensione.
Cosa fanno le campagne di sensibilizzazione? Si concentrano sugli attori del fenomeno creando due archetipi: la donna-vittima e l’uomo-mostro. Questo bipolarismo, se da un lato crea attenzione/allarme, di fatto non aumenta il numero di casi che esce dall’ombra. Da un’attenta analisi condotta insieme agli autori di violenza e alle vittime degli abusi sui linguaggi utilizzati nelle campagne di sensibilizzazione, si è visto che gli uomini-abusanti non si riconoscono come mostri e le donne-vittime non si identificano in quelle immagini di donne abusate.
Che cosa si può fare? Da questa esperienza, e dai preziosi dati che i centri hanno raccolto, sappiamo che molto dobbiamo fare in famiglia, con i nostri figli. Lo dobbiamo fare noi donne, mamme ed insegnanti, educandoli alla consapevolezza emotiva. Dobbiamo aiutarli ad ampliare il vocabolario delle emozioni riconoscendole e nominandole, evitando i pericolosi ingorghi emozionali. Lo stesso si deve fare a scuola. Tutto questo a vantaggio delle bambine e dei bambini, donne e uomini di domani.
Saffo diceva: “l’uomo che tratta la sua donna da principessa è la prova che è stato cresciuto da una regina”. La soluzione è lì, a portata di mano. Dobbiamo essere delle fiere regine ed educare bambini e bambine ad entrare in contatto e ad accettare il loro smisurato mondo affettivo che è inevitabilmente fatto di chiari e scuri. Quando questo mondo di emozioni rimane inespresso o addirittura inesplorato, rischia di trasformare i futuri principi e principesse in mostri e vittime.
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